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FAMIGLIA CRISTIANA

“Dietro tante buone maniere si nascondono cattive abitudini”. Sono le parole di papa Francesco pronunciate nei giorni scorsi in riferimento alla famiglia. Un monito a vivere il Cristianesimo pienamente anche e soprattutto all’interno del nucleo fondamentale della società. Un avvertimento che va dunque letto sia nei rapporti tra coniugi e con i figli, ma anche come l’espressione tangibile del concepire il proprio cammino all’interno di un percorso di fede. Ma come vivono le famiglie cristiane nel mondo? In modi totalmente diversi, a seconda che si abiti a Roma, nella culla del cattolicesimo, piuttosto che a Mosul in Iraq, o in Sud America o dall'altra parte del globo, in Australia. I cristiani iracheni – ad esempio – nel nord del Paese sono stati spogliati di tutti i loro beni, dalle case agli effetti personali, con modalità che, come ha ricordato il patriarca caldeo Louis Sako, nemmeno Gengis Khan arrivò a concepire e praticare quando otto secoli fa invase i territori che corrispondono all’Iraq di oggi. In quelle terre una famiglia che si vuol professare cristiana non può vivere, nemmeno sopravvivere. E non a caso il vicino Kurdistan ha approntato una serie di campi profughi proprio per accogliere queste realtà con bambini e donne spaventati dall’orrore dell’Isis. C’è chi fugge, dunque, ma anche chi “emigra” volontariamente per evangelizzare. E’ il caso di Juan e Maribel, coppia messicana che ha vissuto in California e poi insieme agli 8 figli ha dato disponibilità per una missione a Cape Town, in Sud Africa. Tutti, grandi e piccoli, vivono il loro essere cristiani mettendo al servizio dei più poveri in una baraccopoli, in situazione anche molto pericolose. Lì, celebrano ogni volta in una baracca diversa. Non hanno stipendi ma la Provvidenza è all’ordine del giorno. Arrivano quotidianamente aiuti da tutte le parti, soprattutto cibo. La comunità neocatecumenale di origine (California) li aiuta con l’affitto della casa e altre spese. Ma è un posto difficile, strapieno di nuove moschee e di tante religiosità diverse.Quando i bambini invitano i compagni a casa, questi rimangono stupiti nel vedere di come si mangia a tavola. o del rapporto con i genitori. o che maschi e femminucce hanno stanze separate; in tanti infatti vivono tutti insieme, c'è tanta promisquità e violenze all'interno della famiglia. La vera missione è semplicemente far vedere come è bella una famiglia cristiana. Il sabato l'eucarestia con le comunità che catechizzano e la domenica è il giorno clou: le lodi. Una vera e propria celebrazione domestica dove il padre presiede. Si cantano le lodi con i vari strumenti, la tavola imbandita (fiori e croce) e poi il giro di esperienze: il papà chiede ai figli se la Parola ha” risuonato” nei fatti concreti della loro vita quotidiana, quali problemi hanno avuto a scuola, se hanno giudicato qualcuno dei fratelli e li invita a chiedersi perdono e a darsi il bacio della pace. Poi per finire, prima del benedictus il padre si alza, i figli si mettono in fila e uno dopo l’altro si prendono la benedizione. A Perth, in Australia, la situazione è differente. La famiglia Spissu, di origine sarda, è composta da 8 figli. La casa dove vivono è in una zona dove non esiste la chiesa cattolica, e dove trovi cittadini di ogni etnia: indiani, pakistani, americani, europei, africani, cinesi, russi, sudamericani. E di conseguenza tutte le religioni, persino sette e new age. Baldaivis, è un quartiere con pochissimi cristiani, e gli Spissu sono come un piccolo seme gettato a terra. Pian piano si iniziano a conoscere le persone del quartiere che attirate dai “rapporti interpersonali diversi” tra loro si avvicinano per capire: così si può celebrare la messa quotidianamente alle 7 del mattino con coloro che lo desiderano. Ciò che balza agli occhi da queste storie è il modo di verso di testimoniare il proprio essere una famiglia cristiana in diverse parti del mondo: là dove c’è la guerra, oppure dove si è soli in una terra dove la Parola di Dio non è arrivata, o ancora dove la povertà è il primo dei pensieri e la religione non trova ascolto, proprio lì l’essere cristiani assume un significato di impegno forte, totalitario, convinto. Sacrificano tutto, persino la vita. Uno schiaffo ad un certo opportunismo nel vivere la religione che oggi, nel mondo dominato dal relativismo, alberga anche tra i cattolici. Il bilancio sull'attuale persecuzione dei cristiani,  redatto da monsignor John McAreavey, presidente del consiglio “Giustizia e Pace” della Conferenza Episcopale irlandese, è inquietante: ogni anno, almeno 100.000 cristiani vengono uccisi a causa della loro fede, ovvero 273 al giorno, pari a 11 vittime ogni ora. E altri vengono torturati, imprigionati, esiliati, minacciati, emarginati, attaccati, discriminati”. Attualmente, il cristianesimo è la religione maggiormente oppressa al mondo e i suoi fedeli sono perseguitati in almeno 110 Paesi. Non solo: oggi, l'80% di tutti gli atti discriminatori che si perpetrano nel globo è diretto contro i cristiani. Difficile persino vivere il proprio essere “famiglia” in certi contesti. Ma anche nell’opulento Occidente, la famiglia sta perdendo l’essenza del suo essere cristiana. Per questo papa Francesco ha voluto fortemente il Sinodo. Si tratta infatti di “riuscire a proporre nuovamente al mondo di oggi, per certi versi così simile a quello dei primi tempi della Chiesa – è scritto nella Relatio ante disceptationem – il fascino del messaggio cristiano riguardo il matrimonio e la famiglia, sottolineando la gioia che danno, ma allo stesso tempo di dare delle risposte vere ed impregnate di carità ai tanti problemi che specialmente oggi toccano l’esistenza”. Un ideale abbraccio tra il Sinodo straordinario dell’ottobre 2014 e il Sinodo generale del 2015. E non a caso proprio oggi, nello stesso giorno della Giornata internazionale, che si celebrerà in Colombia per la quinta volta l’appuntamento dedicato alla famiglia missionaria. Secondo le Pontificie Opere Missionarie della Colombia (POM), che promuovono l’iniziativa, “è proprio nella famiglia che si apprendono valori sacri come amare ed essere amati, l’unità nella diversità, la condivisione, il servizio…” Ecco, questo vuol dire essere una famiglia.

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