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Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese

«Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese» «Sint lumbi vestri praecinti et lucernae ardentes»

Martedì 20 settembre – XXIX settimana del tempo ordinario – Lc 12, 35-38

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!».

Il commento di Massimiliano Zupi

Il discepolo di Gesù è chiamato ad essere come l’israelita nella notte di Pasqua, «con i fianchi cinti» (Es 12,11), pronto a mettersi in cammino, per un esodo che durerà quarant’anni, un’intera vita. L’esistenza è un viaggio, una peregrinatĭo, un pellegrinaggio. Non è fatta per trovare una casa, una terra, un luogo in cui posare il capo (Lc 9,58).

Un paese, una dimora, una famiglia sono il desiderio di ogni uomo, emblematicamente riassunte nelle promesse fatte ad Abramo (Gn 12,1-3): esse però non possono essere esaudite in questa vita. Nessuna terra, nessun popolo, nessuna persona è all’altezza: ciò che è fatto per il viaggio non può divenire residenziale. Un treno non può divenire una casa né un compagno di viaggio la propria famiglia. Del resto, la condizione del viandante ha i suoi vantaggi: è possibile affrontare qualunque difficoltà, perché tutto passa e la mèta è un’altra.

Il viaggiare stesso poi è desiderabile: per le novità che presenta, ma soprattutto per l’attesa dell’arrivo. Se la mèta è un banchetto e l’incontro con chi ci ama, il viaggio non può che essere bello.

Ma i fianchi cinti sono un’immagine che anticipa anche il momento in cui Gesù avrebbe lavato i piedi ai discepoli (Gv 13,4); le lampade accese, le stesse che le vergini sagge non avrebbero fatto spegnere (Mt 25,7), sono il fuoco d’amore, la passione con la quale Gesù ha vissuto la sua vita, fino alla fine (Lc 12,49; 22,15; Gv 13,1). L’esistenza del discepolo è un fuoco che arde, che riscalda ed illumina la notte: è, nel servizio e nel dono di sé, un aver già trovato casa, un essere già giunti alla mèta, un avere già aperto al Signore che viene per restare con noi (Ap 3,20).

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