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“Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”

«Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà»
«Qui enim voluĕrit anĭmam suam salvam facĕre, perdet eam; qui autem perdidĕrit anĭmam suam propter me, invenĭet eam»

XVIII Settimana del Tempo Ordinario – Mt 16,24-28

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni (Pr 24, 12). In verità io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non  moriranno, prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo regno».

Il commento di Massimiliano Zupi

Che senso ha l’esistenza umana, se finisce nella morte? Se la morte è l’ultima parola, davvero tutto è vano (Qo 12,8; 1 Cor 15,14-19): crescere, lavorare, amare. Meglio allora non essere mai nati (Gb 3,3-23). Giustamente dunque salvare la propria vita, averla e conservarla, è il problema di ogni uomo: ma, appunto, com’è possibile salvarla? La risposta che Gesù dà, è assolutamente paradossale: per salvarla, occorre perderla, così come per vivere è necessario morire. Se fosse questo il segreto dell’universo? La vita è dono: per questo, per averla, occorre donarsi. La vita è amore: ed amare è dare sé stessi per l’amato (Gv 15,13).

Che senso ha dunque questa esistenza terrena? Quello di imparare a donarsi e così ad avere la vita. Ma perché Dio non ci ha creati già santi ed eterni? Forse perché giungessimo alla santità e all’eternità da figli, liberamente. Perché il peccato e la morte? Forse perché sono la via per imparare a donarsi. Se fosse così, allora ogni male diventerebbe il luogo di un bene maggiore (Rm 5, 20): il peccato sarebbe l’occasione della misericordia; il dolore, della gioia; la morte, della vita; e ancora: la sconfitta, della vittoria; l’umiliazione, della glorificazione; la sottomissione, della libertà.

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