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Roberta Bruzzone: “La mia ipotesi sulla vicenda di Viviana Parisi e Gioele”

La criminologa intervistata su carriera, lotta alla violenza di genere, importanza della fede, il prossimo libro e sui più recenti fatti di cronaca

Difficile inquadrare la dottoressa Roberta Bruzzone in una definizione classica. Volto noto della televisione, è infatti lontana anni luce dallo stereotipo che vorrebbe la donna relegata a posti di secondo piano nella vita pubblica e privata.

Gli studi

Innanzitutto, per il lavoro che svolge: criminologa e psicologa forense. Di origini liguri – lo scorso 1 luglio ha compiuto 47 anni – è tra le persone più accreditate nei casi di cronaca giudiziaria. Una figura professionale – quella della criminologa – che lei stessa ha avviato tra le prime in Italia circa una ventina di anni fa. Si è laureata con il massimo dei voti in psicologia clinica – con una tesi in ambito criminologico seguita dal professore Guglielmo Gulotta – all’Università degli Studi di Torino. Poi, si è trasferita negli Usa. Qui, ha ottenuto le certificazioni di Bloodstain Pattern Analyst rilasciata dal Miami Dade Police Department e di Bloodstain Pattern Analysis Crime Scene Documentation, rilasciata dalla Bevel, Gardner and Associates e dal Criminal Investigation Training Center di Youngsville.

Donna controcorrente

Se ciò non bastasse, anche nella vita privata Roberta non ha nulla di scontato. Appassionata sin da bambina di crimini e go-kart (e non di principesse e gattini…), sin da giovanissima è stata estremamente autonoma e decisa. Ha scelto di non avere figli, scelta anche questa decisamente controcorrente. Si è sempre messa al fianco delle vittime di violenza di genere, ma senza preconcetti. La sua grande passione è da anni la motocicletta. E non quella da “signorine”, ovviamente… La sua prima moto è infatti stata una Fantik 125 nel 1985. Oggi ha una Harley Davidson Fat Boy 114!

Roberta Bruzzone in sella alla sua Harley Davidson

La dottoressa è anche il presidente dell’Accademia Internazionale delle Scienze Forensi (AISF). In qualità di consulente tecnico si è occupata dei principali casi giudiziari italiani degli ultimi 20 anni. Tra i tanti, ricordiamo la strage di Erba, il delitto di Sarah Scazzi ad Avetrana, il delitto di Melania Rea, l’omicidio di Elena Ceste e di Pamela Mastropietro.

Oltre a presenziare in qualità di esperta in molti programmi televisivi – come Porta a Porta con Bruno Vespa dove è ospite fissa nelle puntate dedicate alla cronaca nera dal 2007 – Bruzzone è stata autrice e conduttrice della trasmissione La scena del crimine, andata in onda sulla rete locale GBR – Teleroma 56, nonché conduttrice di Donne mortali, andata in onda per tre edizioni sull’emittente Real Time.

Per il suo impegno nel contrastare la violenza di genere ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti. Inoltre, è stata nominata nel 2012 ambasciatrice nel mondo dell’associazione Telefono Rosa.

La bibliografia

In questi anni di febbrile attività lavorativa non ha tralasciato la produzione e la pubblicazione di numerosi libri e l’attività di prevenzione sulla violenza domestica e di genere nelle scuole superiori.

Tra i suoi libri più noti, citiamo: “Chi è l’assassino. Diario di una criminologa” (Milano, Mondadori, 2012); “Segreti di famiglia. Il delitto di Sarah Scazzi. Le prove, i depistaggi e le lacrime di plastica” con la collaborazione di Giuseppe Centonze e Filomena Cavallaro (Roma, Aracne editrice, 2013). Roberta Bruzzone e Emanuele Florindi, “Il lato oscuro dei social media. Nuovi scenari di rischio, nuovi predatori, nuove strategie di tutela” (Reggio Emilia, Imprimatur, 2016). Roberta Bruzzone e Valentina Magrin, “Delitti allo specchio. I casi di Perugia e Garlasco a confronto oltre ogni ragionevole dubbio” (Reggio Emilia, Imprimatur, 2017). “Io non ci sto più. Consigli pratici per riconoscere un manipolatore affettivo e liberarsene” (Milano, De Agostini, 2018).

La giornalista di In Terris Milena Castigli ha raggiunto telefonicamente la dottoressa Roberta Bruzzone per un‘intervista a tutto tondo sulla sua carriera, sul prossimo libro in uscita ad ottobre, sulla lotta agli stereotipi e alla violenza di genere, sull’importanza della fede, e sui più recenti fatti di cronaca, come la morte di Viviana Parisi e la scomparsa del figlio Gioele. In merito a questa triste vicenda, la nota criminologa ha una sua ipotesi ben delineata.

L’intervista alla dott.ssa Bruzzone

Inizio l’intervista telefonica con una domanda in merito al suo ultimo libro pubblicato, intitolato “I disturbi della personalità al tempo del coronavirus” (Piemme, 2020), ed è subito scoop.

“In realtà – esordisce infatti la psicologa forense – ho un nuovo libro in cantiere che sto scrivendo insieme alla dottoressa Emanuela Valente. Uscirà il prossimo ottobre per De Agostini e si intitolerà “Favole da incubo. Dieci più una storie di uomini che uccidono le donne da raccontare per impedire che succeda ancora”.

“Racconto diverse storie di femminicidio – molte delle quali me ne sono occupata personalmente come consulente tecnico – con il preciso intento di spiegare il percorso che ha portato al triste epilogo. Sono storie al contempo molto toccanti e molto esplicative dell’ambiente in cui certe dinamiche nascono e si sviluppano”.

“L’obiettivo – sottolinea – è quello di fare prevenzione: conoscere e riconoscere i segnali che potrebbero scatenare la follia – anche omicida – del partner”.

Femminicidio e stereotipi di genere

Il femminicidio è una delle principali piaghe di questa società. Ho chiesto alla nota criminologa cosa sarebbe necessario fare per cambiare davvero le cose.

“Sarebbe importante – risponde – rivedere i modelli di relazione contemporanei, abbattendo i tanti, troppi, stereotipi di genere che ancora oggi mettono la donna – figlia, madre, moglie, compagna – in una posizione subalterna a quella dell’uomo…fratello, padre, marito o compagno che sia. Il vero nemico da abbattere è dunque questo modello sociale che è ancora imperante. Con un’evidente asimmetria di potere tra donna e uomo. Ovviamente, a favore di quest’ultimo”.

“Molte donne – analizza la dottoressa Bruzzone – vivono in questa trappola senza neppure rendersene conto perché sono cresciute in famiglie dove veniva insegnato loro di valere meno degli uomini. Fa parte del loro retaggio culturale che è difficilissimo da modificare. Prima di tutto, infatti, andrebbe riconosciuto con se stessi”.

Vizi privati, pubbliche virtù

Eppure, a livello sociale la violenza di genere è stigmatizzata un po’ ovunque – penso alle tante campagne e “pubblicità progresso” – e da tutti, le faccio notare.

“Sì – evidenzia la criminologa -. Pubblicamente tutti si dicono contrari alla violenza di genere e magari biasimano certi comportamenti come lo schiaffeggiare una donna. Ma questo solo a livello pubblico. La società dice infatti di non sfiorare le donne neppure con un fiore“.

“Però nel privato delle mura domestiche, lontano da occhi indiscreti, questi comportamenti non sono solo tollerabili, ma anche condivisibili. Sono infatti ancora moltissime le persone e le famiglie nelle quali la donna vive una situazione di sottomissione e spesso di violenza. Se non fisica, almeno verbale e psicologica“.

“C’è dunque un doppio binario in alcune famiglie italiane: quello pubblico dove si predica bene e quello privato – più autentico – dove invece si razzola molto male!“. “La maggior parte degli uomini maltrattanti e delle donne vittime di violenza non a caso provengono da ambiti familiari d’origine dove queste condotte erano considerate addirittura normali“.

Il ruolo (assente) dei familiari

E i familiari che assistono a questi abusi di varia natura e gravità nei confronti della propria figlia o sorella o nipote, cosa fanno? “Anche loro – risponde la dottoressa Bruzzone – sono frutto dell’ambiente in cui sono cresciuti. Spesso, dunque, i familiari non intervengono e non danno aiuto o sostegno alle vittime perché, secondo loro, ‘è giusto così’. Non si tratta dunque di omertà, ma di una problematica ben più subdola: quella di un adeguamento a dei modelli culturali maschilisti che sono superati solo a parole, ma che nei fatti sono ampiamente condivisi”.

Ma perché le persone più vicine alle vittime non fanno scattare un campanello di allarme, chiamando la polizia o almeno stigmatizzando certi comportamenti? “Perché – prosegue – spesso anche loro hanno vissuto in passato le stesse situazioni abusanti e non sanno riconoscerne la gravità e la pericolosità. Ma è bene ricordare, come purtroppo le cronache ci insegnano, che la violenza di genere può portare anche all’omicidio“.

I giovani salvezza dell’umanità?

Gli stereotipi di genere dunque sono duri a morire e “inquinano” il modo di vivere e pensare di intere famiglie. Ma almeno i giovani ne sono immuni? “Purtroppo no – evidenzia la criminologa -. Sono figli dei loro genitori e ne assorbono valori e comportamenti”.

“Me ne rendo conto quando vado nelle scuole a fare prevenzione contro la violenza di genere. Lì faccio delle domande alle ragazze di 15 o 16 anni: le future mamme e mogli della prossima generazione”.

“Chiedo: cosa farebbero se il loro fidanzatino impedisse loro di uscire la sera mentre lui va in giro con gli amici? La risposta nove volte su dieci è allarmante. Se impedisce di uscire – dicono – è perché tiene a loro! Stessa risposta alla domanda ben più grave ‘cosa faresti se il tuo ragazzo ti mettesse le mani addosso’? La risposta più frequente, purtroppo, non è ‘Non vorrei rivederlo mai più’, ma: ‘Lo fa perché ci tiene a me’“.

“Non solo dunque la violenza è tollerata in tutte le sue sfumature. Ma addirittura certi comportamenti deviati quali l’ossessione, la gelosia, la prepotenza, la volontà di controllo…vengono spacciati come segnali di interesse amoroso“.

“Insomma, c’è ancora molta strada da percorrere, ma le nuove generazioni sono le persone che potenzialmente cambieranno in meglio questa società per certi versi malata“.

Malattia mentale e coronavirus

Pensando alla sua ultima pubblicazione, “I disturbi della personalità al tempo del coronavirus”, è possibile dire che i mesi segnati dalla pandemia e dal lockdown hanno influito negativamente sulla psiche di alcune persone?

“Sì. Il testo descrive infatti in modo preciso quale potrebbe essere l’evoluzione delle fobie scaturite dal coronavirus in soggetti che hanno già delle problematiche psichiatriche piuttosto serie alle spalle”.

“Nello specifico, mi sono soffermata sui dieci disturbi della personalità descritti nella quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (il DSM V). Questi disturbi non sono rari: colpiscono infatti il 15% della popolazione. Un’incidenza dunque pesante sul totale degli italiani”.

“Il testo – spiega – è uno strumento agile anche per chi non ha competenze in ambito psichiatrico per riconoscere chi ha certi disturbi della personalità, attraverso i suoi comportamenti pratici nella quotidianità”.

“Specie in un momento grave come questo, segnato da una minaccia incombente e dalla concreta paura di morire o di vedere soffrire i propri cari, alcune persone già con problemi a monte possono presentare un netto peggioramento“.

Viviana Parisi con il piccolo Gioele

Il caso Viviana Parisi

A proposito di come i disturbi della personalità possano accentuarsi a causa della pandemia, le cronache recenti riportano purtroppo la triste vicenda della dj Viviana Parisi. Il corpo della donna è stato ritrovato lo scorso 8 agosto nei boschi attorno a Caronia, sotto un traliccio della luce. Nessuna traccia del figlio Gioele, di 4 anni, scomparso nel nulla. Omicidio, suicidio, tragico incidente: le piste sono ancora tutte aperte.

Ne parlo con la dottoressa Bruzzone, che in 20 anni di carriera di storie “maledette” ne ha studiate a centinaia. Secondo la sua esperienza, con i dovuti condizionali, cosa potrebbe essere successo? “Da quanto ho letto delle testimonianze dei parenti – perciò sufficientemente attendibili – Viviana soffriva di problemi psichiatrici già prima del Covd-19″, evidenzia la criminologa.

“Probabilmente, è una di quelle persone che durante la fase del lockdown ha subito un aggravamento della sua situazione psichiatrica pregressa. Potrebbe aver sviluppato un delirio di matrice persecutoria temendo per sé e per il proprio figlio. Questo tipo di scenario in un soggetto con problematiche psichiatriche può portare anche a compiere gesti estremi. Con l’obiettivo di sottrarre il minore a un destino ineluttabile di malattia purtroppo il genitore potrebbe quindi decidere di ucciderlo e di suicidarsi. Questo è uno scenario abbastanza frequente in questo tipo di situazioni”.

Ricapitolando, tra le tre opzioni: incidente, omicidio o suicidio, lei dott.ssa Bruzzone – considerando la sua esperienza – sarebbe orientata per l’ipotesi omicidio-suicidio?  “Credo che questa donna fosse in un forte stato di agitazione psico-motoria e di grave alterazione dell’esame di realtà”.

“Penso che abbia nascosto al marito e ai familiari il peggioramento della sua condizione in maniera abile. Poi, si sia sottratta al controllo di tutti con una scusa banale, quella di comperare le scarpe nuove al bambino quando in realtà è possibile che avesse già un progetto molto preciso da attuare“.

“Se poi come sembrerebbe tutte le fratture riscontrate nella salma sono dovute a precipitazione, difficile ipotizzare un omicidio dal pilone dell’energia elettrica. L’ipotesi di suicidio-omicidio al momento [martedì 11 agosto, ndr] è il più plausibile. Gli ingredienti – con i dovuti condizionali – ci sarebbero tutti”.

 

La fede e la pulizia dell’anima

Qualunque sia la verità definitiva, si tratta di una storia terribile. Lei in questi anni ha visto il male dell’uomo senza usare filtri. In tutto questo, la fede l’ha aiutata? “Sì, senza dubbio. Confrontandomi con il peggio del peggio per venti anni, molto spesso mi sono interrogata sul perché di tanta sofferenza. Credo che l’uomo abbia una natura biologica indirizzata all’uso della forza e a volte anche una fragilità psichica. Faccio fatica a pensare che tutto questo sia opera del caso. O del cieco destino. Credo che, nonostante tutto il male, esista una Regia superiore che ci indica il Bene. Io, personalmente, cerco di comportarmi nel modo migliore e di garantirmi la salvezza eterna! Cerco di tenermi l’anima pulita”.

“Il mio rapporto con la morte è quotidiano e spesso mi interrogo su cosa ci sia dopo. L’uomo è qualcosa di più di un grumo di cellule. Di questo ne sono certa. Io cerco di approfondire tutti gli aspetti, anche quelli più piccoli, dei delitti che seguo per dare ai familiari della vittima delle risposte alla perdita del loro congiunto”.

Ripartire, nonostante tutto!

Dopo tanto dolore, ha un ricordo particolarmente positivo? “Io mi occupo di storie con un finale tragico quasi sempre. Negli ultimi anni però ho potuto assistere tante vittime di violenza, non solo adulte, ma anche minorenni indicando loro un percorso psicoterapico efficace, portato avanti da alcune professioniste di mia conoscenza”.

“Ebbene, grazie al grande lavoro di queste donne, tante vittime sono tornate a vivere serenamente. Si possono cicatrizzare anche ferite dell’anima, del corpo e della psiche molto profonde. Questo è il messaggio finale che vorrei lasciare a tutti, in particolare alle donne e alle bambine vittime di violenza: non perdete la speranza, si può ripartire anche dopo gravissimi traumi”. Magari…in moto!

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