La montagna torna spesso nei nostri modi di dire. Infatti, per descrivere qualcosa di molto impegnativo, faticoso e difficile diciamo che “è come scalare una montagna”, mentre per dare l’idea di una notevole dimensione o di un massa importante ricorriamo all’immagine “grande come una montagna”. Ma quanto conosciamo veramente l’ecosistema-montagna, nelle sue peculiarità e nella sua vasta diversità biologica? In occasione della Giornata mondiale della montagna, celebrata per la prima volta nel 2003, Interris.it ha intervistato il professor Mario Augusto Pagnotta, presidente del corso di laurea in Scienze della montagna all’Università della Tuscia.
L’intervista
Quando pensiamo alla montagna, spesso, il nostro pensiero va alla dura roccia, alla neve e al ghiaccio. Professore, ci illustra invece i servizi ecosistemici della montagna?
“Il comune cittadino italiano è abituato a vedere intorno a sé la pianura, sottovalutando che il 70% del territorio della Penisola è rappresentato da alta collina e montagna vera e propria – quest’ultima circa è il 35-40%. Le montagne sono i rilievi sopra i 600 metri sul livello del mare, a 1.600 metri troviamo i villaggi tra i boschi, fino a 2.400 metri, in base alla latitudine e all’esposizione del versante, può arrivare la linea della vegetazione arborea, mentre ad altissima quota ci sono roccia e neve. A bassa quota troviamo cinghiali e volpi, mentre più in alto ci sono uccelli, lupi, orsi e stambecchi, che hanno bisogno di spazio. Nel corso degli anni c’è stato un grande abbandono del territorio della montagna, è quindi mancata la manutenzione con la conseguente accentuazione dei fenomeni di dissesto idrogeologico. E’ importante curare bene questo 70% di territorio italiano per conservarne la biodiversità, sia perché è un territorio eterogeneo sia perché è di fatto meno in competizione con le attività agricole e industriali per l’uso del terreno”.
Quali sono le differenze tra Alpi e Appennini?
“La cosa importante che li distingue è che le prime sono formazioni rocciose più alte e più antiche, inoltre sono differenti anche dal punto di vista geologico e minerale. Le Alpi sono poi una catena che va est a ovest, come i Pirenei, e quando ci sono state le glaciazioni hanno formato una sorta barriera, ricoprendo quindi un ruolo nelle differenti filogenesi di flora e fauna e conseguentemente sulla biodiversità. Gli Appennini invece vanno da nord a sud, come la catena delle Ande in Sud America, e presentano differenze sia in termine di altitudine che di biodiversità. In Abruzzo abbiamo l’orso, che non troviamo altrove, mentre il faggio, una pianta continentale, è sia sul Gargano, in Puglia – le faggete vetuste del Parco nazionale del Gargano sono patrimonio Unesco – che in Calabria”.
Quali sono gli effetti del cambiamento climatico sulle nostre montagne?
“Ad altissima quota il riscaldamento provoca la diminuzione dei ghiacciai, il che comporta minori precipitazioni nevose e minori riserve per approvvigionare le fonti idriche. Il principale problema in realtà è l’acutizzarsi dei fenomeni: giornate di alluvioni e mesi di siccità. La quantità di acqua che cade in un anno può restare invariata, ma se è concentrata in due giorni di pioggia fa danni, con la conseguente erosione del terreno che può causare frane e valanghe. Ci sono specie che si stanno reinsediando, come il lupo che era stato combattuto dall’uomo, ma anche altri animali e insetti che prima non c’erano”.
Cosa occorre fare per proteggere il suolo e le sorgenti e come contenere la degradazione del territorio?
“Occorrono una manutenzione oculata che tenga conto delle previsioni di pioggia e dei tipi di suoli, alcuni sono più friabili e altri meno, e l’introduzione di vegetazione con funzione antierosiva e di mantenimento. Prima per tenere puliti i torrenti si cementificavano gli argini, ma così l’acqua acquista velocità e per evitare che accada si possono pensare barriere naturali proporzionate che la fanno filtrare, delle situazioni di pendenza che interrompano il flusso e zone di allagamento per evitare impatti sui villaggi costruiti a fondo valle. Per quanto riguarda i boschi, gli alberi che cadono per vecchiaia, vento o per altro non andrebbero rimossi perché creano un micro-habitat ideale per la conservazione della specie, ma se cadono nei torrenti vanno tolti.”
Come pensare a un’economia sostenibile della montagna?
“Tutto deve essere a dimensione. Alcune attività economiche possono avere una minore meccanizzazione ma un costo di produzione leggermente superiore, pensiamo ai prodotti tipici, che sono nicchie di biodiversità per le loro particolarità organolettiche e di gusto. Sotto questo profilo è importante l’aspetto del marketing e della valorizzazione dei prodotti ad esempio con le etichette: per il consumatore è importante sapere cosa acquista a quel determinato prezzo. L’attività più famosa della montagna è comunque lo sci. In questo caso i problemi sono dove fare le piste, perché se si disbosca si avrà magari un ritorno economico ma soprattutto un danno ambientale che non si recupera, e il ricorso alla neve artificiale che comporta il consumo di acqua e l’uso di additivi chimici. Si potrebbero allora fare le piste più in quota e ricorrere all’innevamento artificiale solo nei casi dove serva. Certamente il carico di turismo non deve essere altissimo, né per gli sport invernali né per quelli estivi come il ciclismo, che può impattare sulla vegetazione. In quel caso meglio realizzare piste ciclabili”.
Come devono cambiare il turismo e i costumi del turista?
“Per un turismo più consono ai territori servono una cultura ambientale più ‘slow’, percorsi sostenibili e più cestini per la raccolta dei rifiuti nelle aree dei picnic”.