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Giornata della Montagna: un rinnovato impegno per il lavoro e lo sviluppo sostenibile

Ricorre l’11 dicembre la Giornata Internazionale della Montagna, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dal 2003. Il tema scelto quest’anno dalla direzione della FAO-Mountain Partnership è: “Mountain solutions for a sustainable future: innovation, adaptation, youth and beyond”, che potremmo tradurre come “Soluzioni per la montagna per un futuro sostenibile: innovazione, adattamento, giovani e non solo”.

Già nel titolo della ricorrenza, dunque, sono ben presenti le sfide principali che anche il nostro sindacato sta affrontando da anni proponendo riforme e azioni concrete a salvaguardia delle aree montane, che nel nostro Paese interessano oltre 4 mila comuni, cioè più della metà del totale, e costituiscono una ricchezza inestimabile in termini di biodiversità, risorse naturali, patrimonio paesaggistico, identità culturale.

Il “sistema montagna” può essere tutelato soltanto interpretandolo come tale. Questa è anche l’idea di fondo che stiamo portando avanti da tempo con le nostre “Giornate della Montagna”, un appuntamento identitario del nostro sindacato che ha fatto tappa negli ultimi anni a Dobbiaco, L’Aquila, Camigliatello Silano e quest’anno ad Assisi, per omaggiare l’omonimo Manifesto contro la crisi climatica, che abbiamo sottoscritto nel 2020, e l’enciclica “Fratelli tutti”, firmata dal Santo Padre sulla tomba di San Francesco sempre nel 2020, il 3 ottobre: un’opera che apprezziamo particolarmente perché, dopo aver affrontato, con l’enciclica Laudato si’, le sfide per la cura della Casa Comune, con questa Papa Francesco si è soffermato su tanti aspetti che riguardano il lavoro.

E come Federazione agroalimentare e ambientale della Cisl riteniamo che proprio dal lavoro si debba partire per ripensare e ripopolare le aree interne e montane, con progetti di sviluppo sostenibile e con una visione non predatoria dell’ambiente e delle comunità locali. Un percorso che passa per la valorizzazione delle “tute verdi”, ovvero i lavoratori delle filiere agroalimentari e ambientali sui quali investire per creare nuova e buona occupazione, prendendoci cura del nostro patrimonio agroambientale e paesaggistico, con tutta una serie di settori che si tengono fra loro e fanno la vera ricchezza distintiva del nostro Paese.

Ri-abitare le aree montane e in abbandono è possibile infatti solo se diamo priorità alle filiere agroalimentari, alle comunità green, a una gestione innovativa del patrimonio forestale e al mantenimento e sviluppo delle attività agrosilvopastorali, anche nell’ottica di una politica di contrasto alla crisi climatica.

Certo, i dati più aggiornati non giocano a nostro favore, sia sul piano demografico che territoriale. Secondo l’Istat, al calo demografico dei prossimi dieci anni, si aggiungerà una complessiva riduzione degli abitanti delle zone rurali, pari al 5,5%: passeremo da 10,1 milioni di residenti a 9,5 milioni. I comuni con saldo negativo saranno l’86% del totale e la drastica diminuzione investirà soprattutto il Mezzogiorno, dove perderà residenti il 94% dei comuni, con una riduzione complessiva della popolazione dell’8,8%. Anche le persone in età attiva, naturalmente, diminuiranno drasticamente: secondo Adapt, nel 2030 avremo 730 mila lavoratori in meno, nel 2040 scenderanno di 3 milioni, nel 2050 di 4,6 milioni.

L’altro aspetto negativo è il degrado del suolo. Il nuovo rapporto Snpa-Ispra, appena pubblicato, ha rilevato che anche nel 2023 abbiamo continuato a coprire l’Italia di asfalto e cemento: 72,5 chilometri quadrati in un anno, 20 ettari al giorno, 2,3 metri quadrati al secondo. Un danno che non è solo ambientale, ma che pesa anche sulle tasche degli italiani, visto che lo stesso rapporto ha quantificato in mezzo miliardo di euro le perdite causate dai mancati “flussi di servizi ecosistemici”, cioè dei benefici che sarebbero derivati dai terreni sotto forma di produzione agricola, legname, sequestro di carbonio, regolazione del microclima, depurazione delle acque e dell’aria; cui si aggiungono altri 1,1 miliardi di euro per la perdita di “stock di servizi ecosistemici”, cioè del valore del bene svanito per sempre.

Invertire la rotta è possibile e doveroso, ma servono politiche adeguate e misure più incisive di quelle messe in campo finora. Bisogna connettere le comunità montane con infrastrutture materiali e digitali e renderle inclusive anziché luoghi di svago elitario. Serve poi una fiscalità di vantaggio per famiglie e imprese che vivono e operano in montagna, soprattutto per l’imprenditoria giovanile agricola. Poi va approvata ed attuata una legge organica contro il consumo di suolo, dando seguito ai diversi disegni legislativi fermi almeno dal 2012 in Parlamento.

Servono inoltre percorsi di inclusione lavorativa e formazione imprenditoriale per i tanti immigrati che contribuiscono sempre più spesso a tenere in vita comunità rurali e tradizioni locali, molti dei quali impiegati proprio nel settore agricolo, nella trasformazione alimentare e nell’artigianato, nel sistema allevatoriale.

Bisognerebbe inoltre attuare la Legge Realacci per il sostegno e la valorizzazione dei Piccoli Comuni e la Strategia delle Green Communities, sulle quali servirebbe una vera e propria accelerazione, visto che solo una minima parte dei 2,2 miliardi stanziati dal Pnrr per le comunità energetiche sono stati utilizzati: con il risultato che in Germania sono più di 4.800, in Grecia 1.670, in Italia 98, ben al di sotto dall’obiettivo del Governo di ottenere entro il 2027 impianti per 5 gigawatt.

Altro passo fondamentale, bisogna riformare il settore forestale, finanziandolo in modo più strutturale e continuativo, puntando su una forestazione produttiva, che faccia leva sulle competenze dei lavoratori e sulle innovazioni tecnologiche a loro disposizione, favorendo la crescita delle filiere del legno, dell’energia, della bioeconomia, dell’industria manifatturiera di trasformazione, del turismo. Dobbiamo evitare, in estrema sintesi, che proprio mentre irrompe il bisogno di una nuova politica forestale, rurale e paesaggistica, questo settore si trasformi in una categoria in via di estinzione. Sarebbe l’ennesimo paradosso italiano che non possiamo permetterci.

Sono tutte misure, queste, che naturalmente proporremo anche nei tavoli istituzionali previsti dal Masaf, con l’obiettivo di avviare una cabina di regia sulle aree interne che porti quanto prima a risultati concreti.

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