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Siria, l'appello al Papa di suor Yola

Nel cielo della Siria, illuminato qualche notte fa dai bombardamenti occidentali, si levano le voci di quanti hanno vissuto sulla propria pelle sette anni di guerra. Sono le voci dei religiosi, ad esempio. Come quella di suor Yola Girges, superiora della Comunità di Damasco delle Suore Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria. Sono voci che raccontano una verità per molti aspetti diversa da quella di cui in tanti sono persuasi in Occidente. Una voce che suor Yola, come riferisce in quest’intervista a In Terris, vorrebbe far arrivare anche a Papa Francesco.

Suor Yola, che clima si respira a Damasco dopo gli attacchi dei giorni scorsi?
“Un clima sereno e di vittoria. Siamo abituati a ricevere minacce americane, già dai tempi di Obama, e siamo purtroppo anche abituati alle violenze atroci dei terroristi, che hanno mietuto centinaia di migliaia di vittime in tutto il Paese. I bombardamenti di sabato scorso non hanno colpito civili, sono stati vissuti dal popolo quasi a mo’ di una ‘barzelletta’, la gente era affacciata dai terrazzi come per assistere a dei fuochi d’artificio. C’era maggiore angoscia all’estero. Io ero in Italia nei giorni prima ed ho percepito più tensione da voi per l’ipotesi di un attacco che non nel popolo siriano”.

Ha parlato anche di un clima di vittoria…
“Sì, il giorno dopo l’attacco centinaia di persone sono scese in strada a Damasco, soprattutto giovani, studenti appena usciti dalle scuole e dalle università, per festeggiare l’esercito che con l’artiglieria ha contrastato i bombardamenti. Ma non solo, è stata occasione anche per festeggiare la liberazione completa di Douma, avvenuta proprio in quelle stesse ore”.

I Paesi che hanno coordinato l’attacco accusano il Governo siriano di aver utilizzato armi chimiche, però mancano ancora delle prove. Che idea vi siete fatti della questione?
“Siamo abituati anche a questo. Tre volte in questi sette anni è stato accusato il Governo di usare armi chimiche contro i civili. Ma chi ha fabbricato questa accusa a mio avviso è poco intelligente, perché è un’accusa poco credibile. L’esercito ha già vinto, combattendo in modo onorevole insieme ai suoi alleati, che cosa trarrebbe dall’utilizzo di armi chimiche se non l’indignazione internazionale e le minacce? E poi sarebbe assurdo usare queste armi contro i civili anziché contro i terroristi. Piuttosto, l’idea che ci siamo fatti è che siano proprio loro, i terroristi, ad usare armi chimiche per poi far ricadere la colpa sul Governo”.

Su cosa si basa questa idea?
“Sul fatto che l’esercito siriano già in passato ha scoperto dei depositi di armi chimiche custoditi dai terroristi. Bashar Jafaari, rappresentante siriano all'Onu, ha mostrato queste prove alle Nazioni Unite, ma evidentemente è rimasto inascoltato”.

Secondo lei c’è un’alternativa ad Assad?
“L’alternativa sarebbe uno stato confessionale islamico: ciò che vogliono i terroristi. Ma non accadrà. La Siria è l’unico Paese del Medio Oriente in cui i cristiani vivevano e vivono ancora, nonostante tutto, nella massima libertà di manifestazione della propria fede. Lo stesso presidente ha affermato che la Siria senza cristiani non esisterebbe. Sono sicura che nel 2021, quando ci saranno le elezioni presidenziali, Assad verrà rieletto. Il popolo siriano sostiene il suo presidente”.

E allora come mai c’è stata la “primavera araba” nel 2011, che ha dato inizio al conflitto?
“Quando guardavamo le immagini delle proteste in Libia o in Egitto pensavamo: ‘In Siria non potrebbe accadere mai’. Purtroppo dall’esterno c’è stata una forte volontà di trascinare queste ‘primavere’ anche nel nostro Paese, per distruggerlo. Ma l’unione tra popolo, esercito e presidente ha salvato la Siria dal destino di altri Paesi arabi. Abbiamo avuto numerose vittime, in tanti hanno versato sangue per difendere la patria e da quel sacrificio ci sarà la rinascita”.

Che interessi ci sarebbero dietro la distruzione della Siria?
“Sono una religiosa, non saprei quali sono gli interessi dei politici. La Siria è un Paese autonomo, ricco, soprattutto di umanità, di Stato sociale, di uguaglianza, di forza di volontà da parte di un popolo che non si è abbattuto nonostante le sofferenze. Mi chiedo anch’io: ‘Cosa vogliono dalla Siria? Ci lascino in pace’”.

Che futuro vede per il suo Paese?
“Tanti mi dicono che sono esagerata. Io credo che la Siria tornerà persino migliore di prima, diventerà un simbolo per il cristianesimo. Perché i cristiani che hanno affrontato questa guerra hanno dimostrato una grande fede, che sarà come un faro per il mondo. E sono sicura che tornerà ad essere un incontro tra culture, un pacifico mosaico in cui ognuno vive nel rispetto dell’altro. Questa guerra è stata una prova, che mi fa pensare a un passaggio della Bibbia”.

Quale?
“All’interpretazione dei sogni del faraone da parte di Giuseppe, nell’Antico Testamento: l’alternanza tra sette anni di carestia e sette anni di abbondanza. Ebbene, noi in Siria abbiamo avuto sette anni di carestia e dolore, ora ho grande speranza che ci saranno sette anni di abbondanza e prosperità”.

Voi cristiani di Siria sentite la vicinanza della Chiesa?
“Abbiamo sentito la vicinanza soprattutto da parte dell’Italia. Una vicinanza da parte di tanti benefattori, e una vicinanza anche attraverso la diffusione di notizie vere su quanto sta accadendo. Poi siamo grati al Santo Padre, che in questi anni di guerra ci ha sostenuti e incoraggiati a rimanere in Siria: è fuggito, giustamente, solo chi come alternativa aveva la morte certa, per sé e per i propri figli. Preghiamo sempre per il Papa e per la Chiesa, restiamo uniti nella fede. E al Santo Padre vorrei rivolgere un appello”.

Prego…
“Ci farebbe piacere che venisse in Siria. Ma intanto vorremmo che incontrasse noi religiosi, che abbiamo sofferto sulla nostra pelle le atrocità della guerra. Chiediamo al Papa di ascoltarci, siamo gli unici che possono riferirgli qual è davvero la verità su questa guerra. Lo supplichiamo di ascoltare solo le voci di chi conosce davvero la realtà della Siria”.


Suor Yola con i bambini ai quali insegna

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