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Spending review al Cremlino: Putin si taglia lo stipendio

Putin al centro di mille polemiche, sulla situazione Ucraina, sul Gazprom, sui rapporti con l’Occidente, sull’omicidio dell’oppositore Nemtsov, ma riesce ancora a sorprendere tutti, scrollandosi di dosso ogni critica: ha firmato infatti un decreto che prevede la riduzione del proprio stipendio del 10%. A seguire la scelta presidenziale molti altri dirigenti russi, tra cui il primo ministro Dmitri Medvedev, ma anche gli stipendi di tutto lo staff del presidente e del governo diminuiranno. L’hanno fatto sapere le agenzie citando l’ufficio stampa del Cremlino. La riduzione delle remunerazioni parte dal primo marzo e proseguirà almeno fino al 31 dicembre.

Il Paese, a causa delle sanzioni occidentali e del crollo del petrolio, sta passando un momento di crisi profonda e quindi c’era da aspettarsi che governo e parlamento adottassero misure per ridurre la spesa pubblica, ma anche in questo caso Vladimir Putin ha preso una decisione che ha spiazzato tutti, decidendo di dare l’esempio ad una Russia che deve tirare la cinghia. Già il presidente della Duma – la camera dei deputati russa – Sergei Naryshkin aveva lanciato un appello ai deputati di ridurre il proprio stipendio, ma in questo caso è difficile prevedere se la misura verrà approvata, dato che per legge i parlamentari russi non possono ricevere altre retribuzioni mentre sono in carica.

Per farsi un’idea, nel 2011, ultimo anno disponibile, il premier Vladimir Putin ha guadagnato 3,6 milioni di rubli (l’equivalente di 92.400 euro circa), mentre i parlamentari russi percepiscono un compenso di circa la metà. Ovviamente le misure di austerità non finiranno qua, ma almeno dagli alti vertici c’è stato un forte segnale sull’importanza per tutti di fare sacrifici, dal primo all’ultimo cittadino del Paese. È forse per questo che gli ultimi sondaggi mostrano come la popolarità del presidente sia schizzata in alto, raggiungendo l’86%. Chissà che forse anche gli altri capi di Stato non cavalchino questa scia per allargare il proprio consenso popolare.

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