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Garlatti (Garante Infanzia): “Non lasciate soli i bambini davanti alla tv. Squid game non è l’unico pericolo”

I consigli dell'Autorità Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza, Carla Garlatti, su come tutelare i minori dalle immagini violente, non solo quelle di Squid Game

“Sono arrivate diverse segnalazioni all’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e ai garanti regionali e delle province autonome a proposito di bambini che nei propri giochi si ispirano a ‘Squid game’, una serie tv destinata a maggiori di 14 anni in cui i protagonisti partecipano a sfide che prevedono punizioni cruente, fino alla morte, in caso di sconfitta”. A intervenire è Carla Garlatti, titolare dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza (AGIA), anche a nome dei garanti regionali e delle province autonome che hanno affrontato l’argomento in occasione della XXI Conferenza nazionale per la garanzia dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, svoltasi lo scorso 23 febbraio.

Interris.it ha intervistato la Garante, dottoressa Carla Garlatti, in merito ai pericoli del lasciare incustoditi i bambini e i ragazzi mentre utilizzano televisioni, social, videogiochi, computer e piattaforme varie e di cosa ogni genitore possa fare per scongiurare la possibilità che i figli si imbattano in scene violente e inadatte alla loro età.

L’intervista alla Garante Carla Garlatti

Dottoressa Garlatti, sono arrivate altre segnalazioni all’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e ai garanti regionali in merito ad altre serie tv o videogiochi o altre forme di media particolarmente violente, oltre a Squid Game?
“No, al momento non ce ne sono state altre. C’era stato il periodo di Tik Tok a inizio dello scorso inverno; poi nient’altro”.

Le immagini violente possono influire sullo sviluppo dei bambini e dei ragazzi?
“Sì: certe immagini possono influire sullo sviluppo dei bambini e dei ragazzi. La visione andrebbe quanto meno accompagnata dalla presenza degli adulti, tenendo sempre conto dell’età dei minori e dei contenuti del programma”.

Il presidente dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, la dottoressa Carla Garlatti

Qual è il rischio per i bambini di vedere immagini violente o inappropriate?
“Innanzitutto l’emulazione. Le preoccupazioni sui possibili comportamenti emulativi sono condivise da questa Autorità garante che, come in altre occasioni, tiene sotto attenta osservazione il fenomeno e che ha raccolto anche le preoccupazioni manifestate dai garanti regionali e provinciali. E’ possibile inoltre che il ripetersi di scene di violenze tra adulti possa essere presa assimilata dai bambini più piccoli come una normale dinamica di relazione tra le persone. Vorrei sottolineare che la serie Squid Game, record di visualizzazioni su Netflix, affascina moltissimo i giovanissimi, ma anche i bambini.

Come è possibile che dei bambini vedano una serie tv vietata ai minori di 14 anni?
“Questa serie di origine nordcoreana ha avuto e sta avendo un successo planetario: arginare il fenomeno è impossibile. Infatti, anche quando i bambini non possono accedere ai contenuti per adulti sulle piattaforme (Netflix nello specifico) perché c’è il Parental Control attivato, gli ‘spezzoni’ più cruenti sono comunque reperibili un po’ in tutta la rete e anche nei social, dove il controllo delle immagini è decisamente inferiore”.

Un frame tratto da Squid Game

Voi come autorità Garante come vi state muovendo?
“Noi come Autorità Garante, insieme al garante della privacy e all’Autorità garante per la protezione dei dati personali abbiamo richiesto un tavolo tecnico al Ministero della Giustizia sulla tutela dei diritti dei minori nel contesto dei social network e dei prodotti digitali in rete. La prima riunione si è svolta lo scorso 24 giugno alla presenza della Sottosegretaria alla Giustizia Anna Macina e dei tre Garanti: Pasquale Stanzione, presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali; Laura Aria dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) e la sottoscritta, quale Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza. Proteggere i minori in rete e sui social network è – tanto più oggi in un’epoca super connessa – un obiettivo primario, che deve unire istituzioni, famiglie e mondo della scuola. Sono già iniziate una serie di audizioni nelle quali sono stati coinvolti anche i gestori delle piattaforme dei social network per trovare delle soluzioni tecniche affinché i minori non vengano in contatto con contenuti inadatti alla loro età”.

Quali soluzioni in merito ai social?
“Innanzitutto, è necessaria una verifica puntuale dell’età reale di chi richiede l’accesso e l’utilizzo del social. Oggi i social sono vietati ai minori di 14 anni: è necessario che i gestori si impegnino maggiormente nel tutelare i ragazzi affinché i minori non aggirino l’ostacolo del limite minimo di età con qualche semplice escamotage. E’ però necessario e imprescindibile anche il controllo anche da parte degli adulti: è importante che i genitori attivino i vari sistemi di parental control e seguino i ragazzi nei loro viaggi in internet e sul web. È plausibile però che i bambini possano comunque venire a contatto con tali contenuti, magari per il tramite di compagni di classe o di giochi. Per questo è opportuno che genitori ed educatori inizino a discutere insieme ai ragazzi i motivi per i quali sono affascinati dai temi della competizione, della crudeltà, delle differenze sociali e della morte. È infatti essenziale cogliere quali sono gli aspetti importanti di cui sentono la necessità di parlare e affrontarli con loro. Va comunque considerato che i minorenni, talora, assistono a immagini di violenza reale, delle quali magari ci si preoccupa meno”.

In che senso?
“Il mestiere del genitore è molto difficile e tutta la famiglia è spesso ‘circondata’ da scene di violenza. Diversi programmi televisivi trasmettono immagini di violenza vera che però nel tran tran quotidiano possono venire sottovalutate dagli adulti ed essere viste da bambini anche molto piccoli senza che nessuno abbia spiegato loro la differenza fondamentale tra realtà e finzione. Questo è il nocciolo del problema con le immagini reali: è importante che nel bambino e nel ragazzo non ci sia un accavallamento tra realtà e finzione; né al contempo, un’assuefazione alla violenza, fisica, verbale o psicologica che sia. A mio avviso, molti tipi di immagini possono influenzare negativamente la psiche e la crescita armonica dei minori. Ci sono infatti tante fonti di immagini violente in circolazione”.

A quali si riferisce?
“Per esempio, mi riferisco a quei programmi televisivi o serie tv che vanno in onda anche alle 9 di sera, che propongono scene di violenza molto esplicite. A questo i bambini vengono esposti anche se magari contrassegnati dal famoso ‘bollino rosso’. Per questo motivo i minori non dovrebbero essere mai lasciati soli davanti agli schermi. Purtroppo, è molto difficile impedire che certe immagini non arrivino mai ai minori: siamo bombardati da più parti”.

Qual è il compito dei genitori ed educatori dinanzi alle immagini di violenza?
“Quello di accompagnare e di spiegare ai minori il senso di queste immagini, specie di quelle di cui è impossibile evitarne la fruizione”.

 

Nonostante la pornografia sia vietata ai minori di 18 anni, i social veicolano immagini private senza sufficienti regole. Come fermare questa deriva? 
“I minori non dovrebbero poter accedere a contenuti pornografici o, peggio, pedopornografici. Non solo attraverso i canali vietati ai minori di 18 anni, ma neppure attraverso i social, dove il limite di età consentito per iscriversi è 14 anni. Noi avevamo chiesto almeno 16 anni, ma la legge lo prevede già a 14. Questa Autorità Garante si sta impegnando moto su questo fronte, sia attraverso il tavolo attivato al Ministero della Giustizia, di cui prima, sia cercando di sensibilizzare scuole e famiglie sulla pericolosità e perniciosità dei contenuti porno. Grande attenzione al fenomeno c’è anche a livello europeo con il coinvolgimento diretto dei gestori delle piattaforme social che dovrebbero poter continuare a captare – attraverso algoritmi sofisticati – e denunciare alle forze dell’ordine i contenuti inappropriati e, soprattutto, le interazioni inappropriate di adulti con minori e l’eventuale diffusione di materiale (pedo)pornografico, anche tra soli adulti”.

Come salvare i minori dalle immagini porno e pedopornografiche?
“I minori – lo ribadisco – non devono essere lasciati soli davanti al computer. Non è una cosa semplice da attuare, ma ci sono diverse pratiche ‘buone’ in tal senso. Per esempio, non mettere i computer nelle camere dei bambini e degli adolescenti, ma in un luogo più aperto, dove anche passando è possibile gettare un’occhio alle attività informatiche dei minori. Poi, controllare la cronologia e fare in modo che non la si possa cancellare. La Polizia Postale, in merito, ha stilato un utile vademecum intitolato “Navigazione sicura e consapevole dei minori su internet” e un secondo appunto relativo agli smartphones, “Uso sicuro del telefonino di tuo figlio“, che possono essere di grande aiuto ai genitori. Il fenomeno è incredibilmente vasto e complesso, come emerso dal recente convegno “Promuovere child safeguarding al tempo del Covid-19” organizzato dalla Comunità Giovanni XXIII con l’Azione Cattolica e il Centro Sportivo Italiano, in collaborazione con il Centro per la Vittimologia e la Sicurezza dell’Università di Bologna. I numeri riportati sono davvero allarmanti: eliminare del tutto il fenomeno è difficile, ma controllarlo ed arginarlo è possibile. E doveroso. E’ necessaria – come ricordato da Papa Francesco nel messaggio ai partecipanti al convegno – un’azione sistematica di alleanza preventiva al fine di sradicare ‘la cultura di morte di cui è portatrice ogni forma di abuso, sessuale, di coscienza, di potere’. Tutto questo va assolutamente fatto per proteggere i nostri ragazzi”.

Qual è il ruolo delle nuove generazioni nella società?
“Il loro ruolo nella società è in costante crescita. Non a caso, ci sono proposte per dare il voto al Senato ai 18enni. Basta inoltre guardare al movimento creato da Greta Thunberg e alla vasta partecipazione dei giovani per la salvaguardia dell’ambiente. I ragazzi stanno prendendo l’iniziativa di farsi sentire. Si sono resi conto di essere stati ascoltati troppo poco dagli adulti e dalla politica”.

E’ vero che i giovani sono poco ascoltati?
“Sì, è vero. Sono stati ascoltati molto poco, specie nel primo periodo della pandemia. Ora stanno cercando di reagire prendendo la parola, dimostrando che loro non sono solo il futuro, ma che sono anche il presente e che dei loro bisogni la società se ne deve prendere carico adesso. In pratica, questo significa che tutte le decisioni che devono essere adottate oggi, non devono avere come conseguenza che in futuro i ragazzi non possano godere dei diritti che spettano loro”.

Come Garante, può illustrare come i ragazzi stanno vivendo questo periodo di ripartenza post pandemico?
“Sull’argomento, stiamo completando due distinti studi. Il primo è quasi ultimato e ha indagato il ruolo della didattica a distanza (DAD) su una eventuale dispersione scolastica e sul possibile calo dell’apprendimento. Uso il condizionale perché ancora lo studio non è ultimato e non abbiamo i dati definitivi”.

Il secondo studio?
“Il secondo studio riguarda gli effetti della pandemia sulla salute mentale dei ragazzi. Lo studio viene effettuato in collaborazione con la Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SIMPIA), la cui presidentessa è la dottoressa Antonella Costantino, e con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Lo studio avrà una valenza scientifica. Si articola infatti in tre step: il primo, verificare l’impatto della pandemia sulla salute mentale dei ragazzi che prima del Covid-19 non avevano manifestato nessuna problematica; il secondo, su quelli che già li avevano e su come sono cambiati; infine, sull’aumento o meno di abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti. I dati, anche recenti, parlano di un aumento dei disagi mentali dei ragazzi”.

Nello specifico, quali disagi mentali stanno vivendo i ragazzi?
“Ad esempio, c’è stato un aumento dei casi di anoressia, una malattia che colpiva soprattutto le ragazze. Ultimamente, invece, si è registrato un aumento del 25% di casi di anoressia nei ragazzi. E’ dunque ipotizzabile che di conseguenze negative dovute alla pandemia ce ne siano state, ma per conoscerne l’entità precisa bisogna attendere le conclusioni dei due studi sopra citati. Le rivelo che questo del benessere dei ragazzi dopo un evento terribile come il Covid è un argomento che mi sta particolarmente a cuore!”.

Vuole aggiungere qualcosa in conclusione?
“Sì, vorrei concludere con un messaggio positivo. Nonostante tutto, noi adulti dobbiamo guardare al futuro in modo obiettivo: i nostri ragazzi hanno dimostrato in questi due anni di avere grandi capacità di ripresa e resilienza. Sono assolutamente certa che, da un periodo buio come quello dal quale stiamo – non senza fatica –  uscendo, hanno tratto importanti insegnamenti di vita. Se non altro: apprezzare quello che avevano sempre dato per scontato”.

 

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