In questi ultimi giorni è stato prodotto dal CNR un corposo atlante che fornisce un approfondito monitoraggio su quanto è avvenuto nel corso della prima ondata di SARS-CoV-2 che ha colpito l’Italia all’inizio del 2020. I ricercatori del CNR hanno identificato tre diverse situazioni epidemiche: quella dell’Italia settentrionale, con un elevato numero di contagi che si sono verificati soprattutto in Lombardia; quella dell’Italia centrale, con un numero di contagi significativi soprattutto a Roma e nelle Marche ed infine quella dell’Italia Meridionale e delle isole, con un numero di contagi piuttosto contenuto.
Nella seconda ondata, la diffusione di SARS-CoV-2 si è verificata in tutta Italia, con alcuni picchi nelle regioni turistiche (Sardegna) e nelle grandi città. Interessante notare che nel corso di tutte le ondate, la pianura padana è sempre stata l’epicentro sia in termini di numeri assoluti di contagi che di gravità e mortalità. Questa particolare condizione è stata la conseguenza di una serie di fattori quali: l’inquinamento, la cosiddetta conurbazione policentrica (formazione di aree urbane estese dal collegamento di più centri abitati), che ha riguardato oltre 10 milioni di persone con alto pendolarismo, una rete ospedaliera di eccellenza, ma una relativamente carente presenza assistenziale sul territorio, le problematiche relative ai Pronto Soccorso ed infine le criticità manifestatesi nelle RSA, che si sono dimostrate possibili luoghi ad alta contagiosità.
È stato prospettato l’uso della cinetina (MP-905) come farmaco antivirale, dal momento che inibisce la crescita in vitro di SARS-CoV-2 in linee cellulari epatiche e polmonari (Thiago Moreno L. Souza e altri). Inoltre, i topi ed i criceti infettati da SARS-CoV-2 e trattati con cinetina, hanno mostrato una riduzione della replicazione virale, della necrosi polmonare, dei fenomeni emorragici e dell’infiammazione. La cinetina è attualmente studiata per un possibile impiego in una malattia genetica rara, anche se con un regime ed a concentrazioni differenti rispetto a quanto previsto per l’azione antivirale ed antiinfiammatoria. Questo iniziale positivo risultato, seppur ottenuto in vitro, riveste un interesse notevole e suggerisce un possibile suo impiego in futuro. Sono state selezionate le mutazioni di resistenza nei confronti di nirmatrelvir (paxlovid), ensitrelvir, GC376 e si è dimostrato che la maggior parte delle mutazioni di resistenza nei confronti di questi farmaci antivirali erano già state depositate nei data base NCBI e GISAID, il che suggerisce che queste mutazioni sono già presenti nei ceppi attualmente circolanti di SARS-CoV-2, anche se il loro impatto clinico al momento è del tutto trascurabile (Heilmann E. e altri).
Dopo tre anni di pandemia, cominciano ad essere pubblicati una serie di contributi che, analizzando in maniera critica ed oggettiva quanto è avvenuto, cercano di fare un bilancio delle ondate che si sono succedute nel corso degli anni con un focus speciale su quegli aspetti che sono stati più peculiare e che più hanno inciso sull’andamento della pandemia. In quest’ottica un editoriale, pubblicato recentemente in una prestigiosa rivista (The Lancet), oltre a fare il punto sui tre anni passati, delinea possibili scenari, ipotizzando ciò che potrebbe essere COVID-19 in futuro. In particolare, viene sottolineata la necessità di mantenere un livello alto di allerta, favorendo il massimo della trasparenza nel dichiarare il numero dei contagi, dei ricoveri ospedalieri e dei morti ed auspicando studi collaborativi di sorveglianza sulle varianti, presenti e future, e sui vaccini. La conclusione a cui giunge questo editoriale è che “la pandemia è lontana dall’essere passata”. Naturalmente questa affermazione va contestualizzata e non significa necessariamente il pericolo di un ritorno al passato, piuttosto indica la necessità di una vigile attenzione alla situazione epidemiologica proprio per scongiurare questo rischio.