L’aumento della speranza di vita negli ultimi 30 anni (6,5 anni per gli uomini e 8 per le donne) ha determinato un incremento della domanda di cure più efficaci. Le malattie oggi più temute dagli italiani sono i tumori (62,6%), seguite da quelle che provocano la non autosufficienza (30,7%), le patologie cardiovascolari (28,3%), quelle neurologiche e le demenze (26,3%). I nostri connazionali hanno aspettative elevate nei confronti dei farmaci, che secondo le loro opinioni devono principalmente guarire dalle malattie (lo pensa il 36,7%), contribuire a migliorare la qualità della vita (20,9%), aiutare a convivere in modo accettabile con le patologie (19,5%). È quanto emerge dal Monitor Biomedico 2015, l’indagine condotta periodicamente dal Censis nell’ambito del Forum per la Ricerca Biomedica che fa il punto sulle questioni chiave della sanità italiana. È invece problematica la percezione degli italiani relativa alla copertura pubblica dei medicinali. La disponibilità di farmaci garantiti dal Servizio sanitario nazionale è giudicata insufficiente dal 35,2% dei cittadini (e la percentuale sale al 53,8% tra le persone meno istruite). Il 78,8% ritiene che sono troppi i farmaci necessari per patologie gravi a carico dei pazienti. L’83% pensa che il ticket penalizzi le persone malate. Il 58% dichiara di aver subito un aumento della spesa di tasca propria per la sanità negli ultimi anni. E il 65% indica proprio i farmaci come voce di spesa in aumento a carico delle famiglie. Oggi è pari al 27,6% la quota di italiani che hanno ridotto l’acquisto di farmaci da pagare di tasca propria.
Per rendere disponibile un nuovo farmaco sono necessari circa 15 anni di ricerca. Solo una nuova molecola ogni 10.000 sperimentate supera con successo i molti test necessari per essere approvata come medicinale. Ma poi, alla fine di questo percorso, in Italia sono troppo lunghi i tempi per accedere ai nuovi farmaci, dopo che sono stati approvati a livello comunitario: 427 giorni in media, contro i 364 della Francia, i 330 della Spagna, i 109 del Regno Unito. La ricerca in campo oncologico è la piu’ diffusa nel mondo: si prevede che al 2018 gli studi in fase di sperimentazione clinica saranno concentrati per il 38% sull’oncologia, mentre tutti gli altri settori si manterranno sotto la soglia del 10%. Anche in Italia la sperimentazione sulle patologie neoplastiche costituisce il principale ambito di ricerca. Nel nostro Paese nel 2012 erano in corso 697 studi clinici per la sperimentazione di farmaci innovativi, finanziati per il 67,7% dalle imprese e per il 32,3% da enti non profit. Nel 2013 il numero degli studi clinici in corso era pari a 583, con una concentrazione prevalente nell’area delle neoplasie (35%). Sono poi allo studio 403 prodotti biotecnologici, di cui 169 in area oncologica.
Gli investimenti in ricerca e sviluppo promossi dall’industria farmaceutica in Italia ammontano a 1,2 miliardi di euro, pari al 4,2% degli investimenti totali effettuati in Europa, mentre il numero degli addetti impiegati in tali attività è pari a 5.950 (il 5,5% del totale). Nei principali Paesi europei si investono piu’ risorse (in Germania il 19,1% degli investimenti in ricerca e sviluppo europei, il 18,1% nel Regno Unito, il 15,3% Francia) e si impiega un numero di addetti superiore (il 21,2% nel Regno Unito, il 18,8% in Germania, il 18,7% in Francia). Resta irrisolto il problema della sostenibilità dei costi a circo del Servizio sanitario nazionale per i farmaci innovativi. Si tratta di costi elevati, soprattutto quando la platea dei pazienti destinatari è ampia. Gli investimenti diretti possono superare un miliardo di euro, arrivando a 2,6 miliardi se si aggiunge il costo del capitale investito nella ricerca. Ma solo 2 farmaci innovativi su 10 consentono di ammortizzare i costi di ricerca e sviluppo. Il recente caso del farmaco anti-epatite C (Sofosbuvir) e’ emblematico. Il costo di un ciclo terapeutico è pari a 37.000 euro per le strutture pubbliche, ma lo stanziamento aggiuntivo del governo per questa terapia e’ stato finora di circa un miliardo di euro per due anni, che si ritiene permetterà di coinvolgere circa 50.000 malati, rispetto a una platea complessiva stimata in circa 1,5 milioni di persone ha hanno contratto il virus e a un numero di malati con diagnosi di epatite C superiore a 300.000.