Era la voce del calcio italiano. Se ne è andato Bruno Pizzul, in silenzio senza far rumore, come sempre è stato nella sua vita. La sua voce è entrata di diritto nelle case di tutti gli italiani, una voce semplice, pulita e pacata, perché non aveva bisogno di alzare i decibel per far comprendere un lessico semplice, alla portata di tutti. Bruno Pizzul era la voce dell’eleganza, della pacatezza, mai una parola fuori le righe. La sua era una telecronaca appassionata, dove contava l’essere e mai l’apparire. Per sedici anni è stato il narratore della Nazionale in tv. Laureato in giurisprudenza, era entrato in Rai vincendo il concorso nel 1969, successore di un altro monumento del giornalismo come Nando Martellini. Ha commentato per la tv di stato, cinque mondiali e quattro europei, entrando con la sua grazia nelle case degli italiani. Poche parole perché non servivano fiumi per descrivere la partita. Non c’è mai stato un vero successore, perché come amava ripetere, “i telecronisti di oggi sono bravi, ma parlano troppo”.
Una carriera iniziata per caso. Era stato un discreto calciatore, militando tra l’altro con Catania e Torres, ma un infortunio al ginocchio lo tolse presto di scena. Insegnava lettere alle scuole medie di Gorizia poi venne invitato ad un concorso per radiotelecronisti. E venne assunto, e da lì iniziò la scalata. Il fascino della prima volta, gli giocò un brutto scherzo. Era l’8 aprile del ’70 e doveva commentare lo spareggio di Coppa Italia tra Juventus e Bologna, ma arrivò allo stadio con quindici minuti di ritardo, complice un pranzo galeotto con Beppe Viola. Per fortuna la partita andò in differita e se ne accorsero solo i dirigenti Rai. Commentò con l’amarezza e gli occhi intrisi di lacrime, quel maledetto 29 maggio 1985, la strage dell’Heysel nella finale della Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool. Per lui che amava il calcio come se stesso, era inaccettabile dover raccontare il dramma umano vissuto dalla tribuna dello stadio di Bruxelles. In sedici anni, un solo cruccio, non aver mai potuto godere di una vittoria in una competizione della Nazionale. Le sue frasi iconiche, dal “tutto molto bello”, al “palla a Baggio…alto”, commentando il rigore mondiale sbagliato dal Divin Codino.
Una voce che riecheggia nell’eternità, perché Bruno Pizzul è stato un maestro di vita, oltre che di giornalismo. Curava le parole, le scandiva con cura per non essere travisato. Ricordo nelle sue parole l’amarezza nel 2002 quando la Corea spedì fuori l’idea dal mondiale nippo-coreano, ma la delusione più grande, è stata non aver vinto il mondiale del Novanta, quello giocato in casa. Gli sarebbe piaciuto poter chiudere con “campioni del mondo”, che Martellini gridò in mondovisione dal Bernabeu di Madrid l’11 luglio del 1982. Se ne è andato a 86 anni, ma Bruno Pizzul, la sua voce, rimarranno indelebili nel tempo. Se ne va un grande professionista, ma soprattutto un grandissimo uomo. Ciao Bruno.