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Mama Antula è santa, il Papa: “Una viandante dello Spirito”

Canonizzata la beata argentina, alla presenza del presidente Milei. E Francesco mette in guardia dalla "lebbra dell'anima"

Migliaia di argentini, tra chiesa e piazza. Persino il presidente Javier Milei, giunto in Vaticano per partecipare alla Messa di canonizzazione della prima santa nata in Argentina, Maria Antonia di San Giuseppe de Paz y Figueroa, nota come Mama Antula. Elevata agli onori degli altari nell’ambito di una celebrazione che Papa Francesco invita a partecipare attraverso l’immagine consegnata dalla lettura evangelica, dalla quale emerge la volontà di Gesù di curare l’uomo da due mali, quali la lebbra e l’emarginazione. Mama Antula “è stata una viandante dello spirito”, poiché “ha percorso migliaia di chilometri a piedi, attraverso deserti e strade pericolose, per portare Dio”. E questo la rende per noi “un modello di fervore e audacia apostolica”. Un cammino incessante nelle ferite dell’uomo, del corpo e dello spirito.

La lebbra dell’anima

Il lebbroso incontrato da Gesù è emarginato dalla città, nonostante la fragilità per la sua malattia. Allontanato per paura, innanzitutto del contagio. Ma anche per pregiudizio e falsa religiosità: “A quel tempo, infatti, si riteneva che toccare un morto rendesse impuri, e i lebbrosi erano gente a cui la carne ‘moriva addosso'”. Una religiosità che, ha spiegato il Papa, “alza barriere e affossa la pietà”. Tre aspetti, questi, complici di un’ingiustizia. La stessa che, ogni giorno, si ripete non vista nelle strade del mondo: “Anche nel nostro tempo c’è tanta emarginazione, ci sono barriere da abbattere, ‘lebbre’ da curare”. Gesù lo ha fatto con i gesti del tocco e della guarigione.

Toccare e guarire

Toccare, perché in tal modo “sente compassione, si ferma, stende la mano e lo tocca pur sapendo che, facendolo, diventerà a sua volta un ‘rifiutato'”. Cristo, però, non si accontenta di “guarire a distanza”, perché “la sua via è quella dell’amore che si fa vicino a chi soffre, che entra in contatto, che ne tocca le ferite”. E di fronte alla lebbra del peccato, “non ha esitato a morire in croce, fuori dalle mura della città, rigettato come un peccatore, come un lebbroso, per toccare fino in fondo la nostra realtà umana”. Esiste una “lebbra dell’anima”, che si manifesta ogni qualvolta “prendiamo le distanze dagli altri per pensare a noi stessi”. Anche in questo, però, ci aiuta l’esempio di Gesù: il suo tocco, infatti, “è l’inizio della guarigione”.

La gioia del dono

La vicinanza, ricorda il Papa, “è lo stile di Dio: Dio sempre è vicino, compassionevole e tenero. Vicinanza, compassione e tenerezza… Se ci lasciamo toccare da Lui nella preghiera, nell’adorazione, se gli permettiamo di agire in noi attraverso la sua Parola e i Sacramenti, il suo contatto ci cambia realmente, ci risana dal peccato, ci libera dalle chiusure, ci trasforma al di là di quanto possiamo fare da soli, con i nostri sforzi”. È solo al tocco di Gesù, infatti, che “rinasce il meglio di noi stessi”, riscoprendo “la gioia di donarci agli altri, senza paure e senza pregiudizi, liberi da forme di religiosità anestetizzanti e prive della carne del fratello”.

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