Troppe incertezze, troppi errori commessi nel cammino verso la verità sulla strage di Via d’Amelio. Per questo “la tragica morte di Paolo Borsellino, insieme a coloro che lo scortavano con affetto, deve ancora avere una definitiva parola di giustizia”. Parole dure e decise quelle del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, pronunciate al Csm durante la cerimonia di commemorazione per il 25esimo anniversario dal massacro di Palermo: “Paolo Borsellino ha combattuto la mafia con la determinazione di chi sa che la mafia non è un male ineluttabile ma un fenomeno criminale che può essere sconfitto. Sapeva bene che per il raggiungimento di questo obiettivo non è sufficiente la repressione penale, ma è indispensabile diffondere, particolarmente tra i giovani, la cultura della legalità”.
L’importanza della memoria
A distanza di 25 anni da quel drammatico pomeriggio del 19 luglio 1992, il lavoro di Borsellino rimane più che mai un esempio da seguire, “un patrimonio prezioso perché basato sulla collaborazione tra un gruppo di colleghi affiatati, in grado di condividere conoscenze e prassi attraverso una costante e reciproca verifica degli orientamenti, al fine di arrivare all’adozione congiunta dei provvedimenti più rilevanti”. Un lavoro che, nonostante i tentativi di oltraggiarne la memoria, continua a essere una pietra miliare del nostro Paese e della lotta alla criminalità: “Come ho già detto in occasione della seduta dedicata a Giovanni Falcone – ha proseguito Mattarella -, la rievocazione delle loro figure non può, e non deve, trasformarsi in un rituale fine a se stesso, originato dalle spinte emotive suscitate dall’occasione. E questo ci viene ricordato, ancora una volta, dall’ignobile oltraggio recato al busto di Giovanni Falcone nella scuola di Palermo a lui dedicata. E, ancora ieri, da quello contro la stele che ricorda Rosario Livatino”.
Lucia Borsellino: “Fare chiarezza”
Assieme alle parole del presidente Mattarella, sono arrivate quelle di Lucia Borsellino, figlia del giudice: “Abbiamo constatato che la verità non è stata pienamente trovata e che giustizia non è stata fatta dopo 25 anni. Facendo eco alle parole di mia sorella Fiammetta chiedo di fronte a questo altissimo contesto istituzionale che, a fronte delle anomalie emerse e riconducibili verosimilmente al comportamento di uomini delle istituzioni, si intraprendano iniziative necessarie per fare luce e chiarezza su quello che accadde veramente nel corso delle indagini che precedettero i processi Borsellino 1 e Borsellino bis”.
“Venticinque anni di menzogne e schifezze”
In un’intervista rilasciata al “Corriere della Sera” Fiammetta, ultimogenita del giudice, ha reso noto l’isolamento vissuto dalla sua famiglia nel corso degli ultimi 25 anni, definiti “di schifezze e di menzogne”: “Nessuno si fa vivo con noi. Non ci frequenta più nessuno, magistrati o poliziotti. Si sono dileguati tutti. Le persone oggi a noi vicine le abbiamo incontrate dopo il ’92. Nessuno di quelli che si professavano amici ha ritenuto di darci spiegazioni anche dal punto di vista morale”. Ma la più giovane delle figlie del magistrato ha detto la sua anche sulle indagini svolte a Caltanissetta, immediatamente dopo la morte di suo padre: “Abbiamo avuto un balordo della Guadagna come pentito fasullo e una Procura massonica”. E, in riferimento al pm Nino Di Matteo, all’epoca fra i magistrati incaricati di svolgere l’inchiesta sulla strage di Via d’Amelio: “Io non so se era alle prime armi. E comunque mio padre non si meritava giudici alle prime armi, che sia chiaro”.