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A Carlo Casini il premio per la Pace S. Paolo VI. Il ricordo della figlia Marina

Un riconoscimento importante, legato per il suo instancabile impegno a favore dei “più poveri tra i poveri”, come Santa Teresa di Calcutta chiamava i bambini non nati

Quest’anno Carlo Casini è stato insignito del “Premio internazionale per la Pace s. Paolo VI”. Si tratta di un riconoscimento importante legato alla storia del Santuario della Regina della Pace, a Monte Scalambra. All’interno di un evento nel quale prenderanno parte scienziati e intellettuali di spicco, tra tutti il prof. Giuseppe Noia e lo scrittore Franco Nembrini, sarà la presidente nazionale del Movimento per la Vita, Marina Casini – una dei figli di Carlo, gli altri si chiamano Francesco, Donatella e Marco, poi ci sono anche Benedetta e Donato, nipoti accolti e cresciuti come figli – a ricevere il premio che la comunità del Santuario ha inteso conferire all’onorevole Casini per il suo instancabile impegno a favore dei “più poveri tra i poveri”, come Santa Teresa di Calcutta chiamava i bambini non nati. Nello spazio esiguo di una pagina abbiamo provato ad intervistare la presidente Casini.

Marina, lei raccoglie l’eredità spirituale e culturale di un uomo unico, una figura poliedrica e luminosa, il cui spessore umano e cristiano questo premio intende riconoscere e far conoscere sempre meglio. Filosofo e giurista preparato e dal pensiero sottilissimo, magistrato, scrittore, docente, parlamentare italiano ed europeo, tra i fondatori e presidente storico del MpV. Amico di papi e di santi, interlocutore di tanti, di tutti. Ma al di là di ciò che ha fatto, chi era Carlo Casini? Ci racconti qualcosa di lui.

“Carlo nasce nel ‘35, ottavo dei nove figli di Marina e Fiorentino. La perdita prematura di un fratellino e di una sorellina, poi anche quella del babbo (morto in un incidente ferroviario) a cui si aggiunsero gli anni duri della guerra. Anni vissuti avendo come punto fermo la fede incrollabile nella Provvidenza. «Il nome di Dio, che mi ha fatto conoscere è Provvidenza», ha scritto a proposito della sua famiglia di origine. Una fede molto profonda, testimoniata da sua madre, che tutte le mattine si alzava prestissimo per andare alla Messa, invitava i figli a pregare ogni giorno per la pace e si faceva in quattro per i figli e mandare avanti la famiglia in tempo di miseria. Alla madre sarà sempre riconoscente. Frequenta la “Chiesina” di Firenze e grazie ai Padri Barnabiti riesce studiare, distinguendosi per intelligenza e impegno. Nel ‘53 si iscrive a Giurisprudenza e diventa allievo di Giorgio La Pira. Presidente diocesano e consigliere nazionale della gioventù di Azione Cattolica dal ‘58, l’anno in cui si laurea, al ’64, anno in cui si sposa. Ha già conseguito il titolo di avvocato quando sceglie la professione di magistrato. Una scelta dettata dalla volontà di rendere giustizia al più debole”.

E come mai la politica?

“Perché Carlo Casini ha seguito la strada che Dio gli apriva concretamente davanti. Per lui la magistratura era, parole sue, «un incontro con l’uomo, da amare e da stimare nel momento stesso in cui si ricercano prove contro di lui o si afferma pubblicamente la sua colpevolezza… L’applicazione corretta e ferma della legge che si deve accompagnare ad una attenzione per il singolo uomo». Come Pubblico Ministero si trovò così ad indagare su una clinica fiorentina che era diventata un vero e proprio ‘abortificio’. Il dramma dell’aborto gli si spalancò davanti. Da lì la nascita del primo Centro di Aiuto alla Vita e la storia che ne è seguita. Nel 1979, entra al Parlamento italiano con la convinzione che «il cristiano ha il compito della profezia e perciò – in termini sociali – quello della proposta e della progettazione. Temo molto – scriveva lui – una mediazione che significhi rinunciare alla forza della propria originalità. In secondo luogo, l’ispirazione cristiana chiede una verifica sul terreno della politica… con il disinteresse personale e lo spirito di servizio». Questo spirito, questa visione che ha mantenuto sempre, lo ha portato a lavorare in modo continuo, senza risparmio, senza pensare a sé stesso”.

Ma quali sono stati i suoi riferimenti?

“Senza dubbio l’incontro con Giorgio La Pira, che, come è noto, sarà proclamato beato prossimamente. La politica aveva per loro, ed ha per cristiani, un fondamento battesimale. Per mio padre si è trattato non soltanto di un impegno incardinato nella dottrina sociale della Chiesa, ma anche di una risposta d’amore al fatto che Dio si fida di noi, e ci affida i suoi prediletti: i più indifesi, i più esposti alla violenza delle ideologie e degli interessi di parte. Questo è un tratto decisamente profetico che mio padre ha incarnato. Ma non posso non ricordare Giovanni Paolo II, suo amico e grande alleato Madre Teresa di Calcutta, che ha incontrato più volte confermandolo nel suo impegno e supportandolo. E ancora Jerome Lejeune… Una grande compagnia, tra i quali vorrei ricordare anche don Benzi e Chiara Lubich”.

Davvero una generazione unica. Soffermandoci un attimo sulla dimensione politica, che d’altronde come insegna Paolo VI è “la più alta forma di carità “, posso chiederle qualche dettaglio in più sul suo rapporto con La Pira?

“Mio padre ha conosciuto La Pira come professore all’università. Successivamente ha avuto modo di approfondire il rapporto con lui nella prima metà degli anni ‘70, mentre in Italia era attivo il dibattito sul divorzio e sullo sfondo si presentava quello sull’aborto. Un giorno si incontrarono presso il convento fiorentino de ‘La Maddalena’. Stettero un intero pomeriggio a parlare di comunismo e cristianesimo. Mio babbo ha scritto che quel giorno La Pira, solitamente gioioso e pronto a dare speranza, era molto serio ed amareggiato. «La sua aspirazione di fondo alla pace, alla giustizia, alla conversione religiosa lo aveva sempre portato a cercare un coraggioso dialogo con la sinistra. Ma ora – così egli gli disse – si stava innalzando il muro dell’aborto, un muro più spesso e alto di quello di Berlino. La Pira fu critico verso quelli che allora si chiamavano ‘catto-comunist’”. Non per la loro scelta partitica, ma per l’ambiguità che manifestavano rispetto al diritto alla vita. In realtà l’apertura sul fronte politico da una parte, e la sua fedeltà incrollabile al magistero della Chiesa, dall’altra, costarono spesso a La Pira incomprensioni e distanze». Mio babbo ha cercato, come emerge dai suoi scritti, di attualizzare e realizzare il sogno di La Pira: «che la forza della dignità umana trasformi la destra e la sinistra determinando coerenze in ogni direzione». La Pira non ha esitato a scrivere accorati messaggi ai principali uomini politici di allora per scongiurare l’approvazione della legge sull’aborto da lui definita senza mezzi termini ‘integralmente iniqua’. Mio padre certamente ha tratto ispirazione dalla sua testimonianza.  Ci sono ancora altri aspetti di La Pira che ritornano nel pensiero del babbo: la storiografia del profondo, l’uomo come entità orante, sono tratti comuni che è facile riconoscere”.

E com’è stato invece il suo rapporto con gli avversari politici?

“Quando era pubblico ministero spiccò un ordine di cattura per i responsabili della clinica degli aborti di Firenze. Era suo dovere. Erano coinvolti soprattutto tanti nomi noti del partito radicale. Ma ha sempre teso la mano a tutti e non si è mai sottratto al confronto sia in incontri privati sia pubblici. Ricordo trasmissioni televisive con Pannella e la Bonino, per esempio. In ogni confronto era sereno. Era uomo del dialogo, persuaso dall’idea che parlare della vita umana significasse aprire varchi e costruire ponti, perché significa parlare del vero progresso. Non ho mai sentito, da parte sue, parole ostili. Verso nessuno. Anche quando veniva attaccato, manteneva sempre la benevolenza”.

Posso chiederle un ricordo da figlia?

“Buono, semplice, disponibile, attento a ciascuno di noi. Allegro! Sempre pronto a incoraggiare e ad aiutare. Con discrezione si interessava della nostra vita spirituale. Da lui ci si sentiva amati e capiti. Era contento quando eravamo tutti insieme ed era solito ripetere che in famiglia si impara ad amare. La mamma e noi figli abbiamo condiviso le sue ‘battaglie’ e lui ha saputo rendere significativa, collaborativa e premurosa la sua presenza. Sua moglie Maria è stata davvero la sua colonna, devo dirlo, hanno condiviso tutto. La sua lungimiranza e il suo impegno per la pace risiedevano in una visione positiva dell’uomo. Diceva che «L’uomo è chiamato non soltanto a vivere l’amore come scopo della sua personale esistenza, ma anche a costruire nel tempo la ‘civiltà dell’amore”, cioè ad edificare le strutture portanti, solide e definitive, della fraternità e della pace». Questa mi sembra una traccia importante”.

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