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Sei decenni di umanesimo cristiano: il ruolo dei pontefici

Ecco come da Roncalli a Bergoglio l’insegnamento ecclesiologico trova sviluppo ed applicazione nei decreti sull'attività missionaria, l’ufficio pastorale dei vescovi, il ministero e la vita sacerdotale, l’apostolato dei laici, l’ecumenismo, il rinnovamento della vita religiosa

L’umanesimo cristiano dei pontefici dal Concilio ad oggi. La costituzione “Gaudium et Spes” espone la dottrina cattolica sui grandi temi. Vocazione dell’uomo, dignità della persona umana, ateismo, attività umana, matrimonio, fame, cultura, vita economico-sociale, pace, guerra, comunità dei popoli. All’umanesimo laico, chiuso nell’ordine naturale, viene opposto l’umanesimo cristiano, aperto al trascendente, che presenta la concezione teocentrica dell’uomo, ricondotto a ritrovare se stesso nella luce e nello splendore di Dio. Nella visione conciliare di Giovanni Paolo II la ragione della dignità umana consiste nella vocazione dell’uomo alla comunione con Dio, quindi il Concilio rivolge a tutti gli uomini l’invito ad accogliere la luce del Vangelo. Il Vaticano II, per Giovanni Paolo II, “resta l’avvenimento fondamentale della vita della Chiesa contemporanea. Fondamentale per l’approfondimento delle ricchezze affidatele da Cristo. Fondamentale per il contatto fecondo con il mondo contemporaneo in una prospettiva d’evangelizzazione e di dialogo ad ogni livello con tutti gli uomini di retta coscienza”. Monsignor Vincenzo Carbone è stato l’assistente del segretario generale del Concilio Pericle Felici e ha testimoniato l’eredità del Vaticano II nei pontificati. C’è una grande somiglianza, infatti, tra Giovanni XXIII e Francesco ed è positiva. Il filo rosso che lega Giovanni XXIII e Jorge Mario Bergoglio in campo ecumenico è l’incontro diretto con le comunità e i responsabili delle varie confessioni o comunità cristiane. Tutte e due hanno messo al primo posto non i documenti, ma cercare un’esperienza comune, offrire una testimonianza. Inoltre la dimensione della Chiesa povera per i poveri in Francesco deriva dalla sua attività prima e dopo la sua consacrazione a vescovo, e poi nel pontificato. La sua prevalente attività è quella pastorale. Ciò gli ha conferito la preoccupazione di ritrovare nel Concilio i testi che si riferiscono in un modo o in un altro alla Chiesa povera per i poveri.

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Foto di Karl Raymund Catabas su Unsplash

L’umanesimo dei pontefici

La misericordia nel Concilio è espressa potentemente nella Gaudium et Spes (42 e 90). C’è l’auspicio che gli istituti promuovano la collaborazione tra le nazioni. Si può andare a vedere sant’Agostino, quando propone e attua centri di aiuto per i poveri. E invita i suoi sacerdoti ad evangelizzare tutte le etnie presenti nel territorio della sua diocesi. Un passaggio di consegne problematico. La Chiesa in Sud America e in Europa: è proprio vero che in Sud America il Concilio è stato messo in pratica più che in Europa? È molto discutibile. Ci sono aspetti di attuazione molto esteriori e altri più essenziali. Francesco
deve riportare la fede tanto in Europa quanto in America Latina. Tutte e due ne hanno un bisogno urgente e radicale. Jorge Mario Bergoglio si interessa tanto dell’Europa quanto dell’Africa e dell’America, quella del Nord come quella del Sud. La sua esperienza
argentina, quindi, è utile a pastori e fedeli occidentali. Il Concilio è stato, è e sarà il
programma dei predecessori e dei successori Francesco che è conciliare quanto gli altri pontefici. Bergoglio, tuttavia, è totalmente immerso dentro i contenuti e il metodo del Concilio, è un figlio del Concilio, come se vi avesse partecipato. La pastoralità del Vaticano II consiste nello studiare ed approfondire la dottrina. Esprimendola in modo che possa essere meglio conosciuta, accettata ed amata. L’aggiornamento è inteso non come rottura con il passato o contrapposizione di momenti storici, ma come crescita, perfezionamento del bene sempre in atto nella Chiesa.

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Foto di Marco Wolff da Pixabay

Risposta limpida

Per capire quanto il Concilio abbia incrociato le strade dei due più diretti predecessori di Francesco, è fondamentale l’intervista di Wlodzimierz Redzioch a Benedetto XVI contenuta nel libro “Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici e i collaboratori raccontano”, pubblicato dalle edizioni Ares. Il nome di Joseph Ratzinger e quello di Karol Wojtyla sono legati, a vario titolo, al Concilio Vaticano II. Il sociologo e saggista Gianfranco Morra inserisce in questa linea di attuazione wojtyliana-ratzingeriana del Concilio il contributo personale di Francesco. Secondo Morra, Jorge Mario Bergoglio non intende solo, come è largamente richiesto, ripulire la Curia, ma anche inventare una nuova pastorale, che si lascia alle spalle l’infondata accusa di proselitismo. E accetta gli uomini per quel che sono, non li giudica, ma li consola e conforta. La schiettezza di Francesco è totale. Egli propone di ripartire dal Concilio e aprire alla cultura moderna. È una delle vie possibili. In ciò consiste a giudizio di Morra la differenza tra Jorge Mario Bergoglio da un lato e la coppia Wojtyla-Ratzinger dall’altra. La Chiesa si è sempre aperta a tutte le epoche storiche. Tuttavia non l’ha fatto con il sentimentalismo e il buonismo, ma con una dialettica di apertura e chiusura. Ossia distinguendo in ogni epoca che cosa era compatibile con la sua tradizione e che cosa, invece, non lo era. Ma ancora una volta il punto di contatto tra personalità così ricche nella loro diversità va ricercata in quella straordinaria scuola di pontificato che è stata per i suoi successori la missione pastorale di Giovanni XXIII. Quando fu eletto papa il cardinale Giuseppe Roncalli, patriarca di Venezia, alcuni, per la sua età avanzata, sentenziarono che il suo sarebbe stato un pontificato di transizione. Non si conosce il pensiero degli elettori, però si può dire che diverso era il disegno di Dio. All’inizio del nuovo pontificato, mentre molti cercavano di scorgerne la nota caratteristica, la svelò il papa stesso.

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Foto © Carlo Lannutti

Nel segno del Concilio

Tre mesi dopo l’elezione, Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959 ai cardinali, riuniti nella sala capitolare del monastero benedettino di San Paolo, annunziò la sua decisione di celebrare un concilio ecumenico. La risoluzione era scaturita dalla constatazione della crisi, causata nella società moderna dal decadimento dei valori spirituali e morali. Negli ultimi cinquant’anni, erano avvenute profonde trasformazioni sociali e politiche; erano maturati nuovi e gravi problemi, che esigevano una risposta cristiana. Prima Pio XI e poi Pio XII avevano pensato ad un concilio ecumenico ed avevano pure avviato gli studi preparatori, ma entrambi i tentativi, per varie ragioni, si erano arrestati. Alcuni anni dopo, Giovanni XXIII, con lo sguardo rivolto ai bisogni della Chiesa e del mondo, si accinse, con “umile risolutezza di proposito”, alla grande impresa, che egli riteneva volere divino. Ecco l’ispirazione originaria del Vaticano II. Papa Roncalli volle un concilio pastorale e di aggiornamento. Questo suo pensiero fu da alcuni interpretato in senso riduttivo e distorto, a giudizio di Carbone. Nella sua prima enciclica “Ad Petri Cathedram”, egli precisò che il concilio principalmente intendeva promuovere l’incremento della fede, il rinnovamento dei costumi e l’aggiornamento della disciplina ecclesiastica. Esso avrebbe costituito uno spettacolo di verità, unità e carità, e sarebbe stato per i fratelli separati un invito all’unità voluta da Cristo. Paolo VI afferma che Giovanni XXIII alla parola programmatica “aggiornamento” non voleva attribuire il significato che qualcuno tenta di darle, quasi essa consenta di relativizzare secondo lo spirito del mondo ogni cosa nella Chiesa: dogmi, leggi, strutture, tradizioni. Mentre fu così vivo e fermo in lui il senso della stabilità dottrinale e strutturale della Chiesa da farne il cardine del suo pensiero e della sua opera.

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Papa Paolo VI. Immagine: Vatican News

Linea dei pontefici

In linea con l’indirizzo pastorale, Giovanni XXIII indica che agli errori bisogna opporsi con lo spirito di misericordia. Alla severità egli preferisce la medicina della misericordia. I concili sono le pietre miliari del cammino della Chiesa. Essi incidono sulla sua vita, con l’ approfondimento della dottrina, le riforme liturgiche e disciplinari, la scelta dei mezzi più idonei all’evangelizzazione. Un concilio apre sempre un’epoca nuova, nella quale la Chiesa compie un passo verso il futuro e progredisce nella propria missione. Notevole è anche l’influsso dei concili sulla società civile. Chesterton ha detto che tutta la nostra civiltà risulta dalle decisioni conciliari, quindi non si scriverà mai una storia d’Europa un po’ logica finché non si riconosca il valore dei concili. Il Vaticano II ha stabilito un punto di riferimento nella vita della Chiesa odierna, aprendo ad essa, sotto il soffio dello Spirito Santo, un nuovo cammino. E cioè si è pronunziato su importanti argomenti ed ha consegnato alla Chiesa ricchi documenti di dottrina e di azione: quattro costituzioni (una liturgica, due dogmatiche, una pastorale), nove decreti e tre dichiarazioni. Infatti, l’insegnamento ecclesiologico trova sviluppo ed applicazione nei decreti su l’attività missionaria, l’ufficio pastorale dei vescovi, il ministero e la vita sacerdotale, l’apostolato dei laici, l’ecumenismo, il rinnovamento della vita religiosa. E nelle dichiarazioni su l’educazione cristiana, le relazioni con le religioni non cristiane, la libertà religiosa. Aprendo il secondo periodo del Concilio, il 29 settembre 1963, Paolo VI dichiarò: “Abbia questo Concilio pienamente presente questo rapporto tra noi e Gesù Cristo, tra la santa e viva Chiesa e Cristo. Nessun’altra luce brilli su questa adunanza, che non sia Cristo, luce del mondo“.

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