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Padre Agnello Stoia: il volto accogliente della Basilica di San Pietro

Interris.it ha intervistato il parroco della Basilica di San Pietro, padre Agnello Stoia: "Incontrare i pellegrini e le loro storie è un momento sempre emozionante"

Padre Agnello Stoia, francescano e da tre anni parroco di San Pietro, è il volto accogliente della Basilica. Una capacità di accogliere, unita alla sua simpatia e semplicità, che è stato capace di trasmettere anche via telefono durante l’intervista. Con voce gioiosa e simpatica, ha spiegato qual è il ruolo del parroco di San Pietro, il rapporto con i pellegrini e la preparazione per il Giubileo della Speranza.

L’intervista a padre Agnello Stoia

Cosa significa essere parroco della Basilica di San Pietro?

“Dopo tre anni, per quanto sia un percoso aperto e tutto da scoprire, posso dire che significa essere il volto accogliente della Basilica. L’importanza della basilica sono le sue porte e il parroco è una ‘soglia’. Qui arriva il mondo, con tutte le sue ansie e richieste, il parroco deve essere pronto a intercettare tutte quelle domande che riguardano i sacramenti”.

Quali sono i suoi compiti?

“Il mio compito è quello di rendere San Pietro un santuario dove sempre più si respiri la preghiera, aiutare le persone a compiere percorsi spirituali per comprendere appieno il significato di questo grandioso monumento, oggi sede del Santo Padre, il senso della Basilica ha rispetto alla testimonianza di Pietro e la sua importanza per tutta la cristianità. Nel nostro corpo, il sangue da tutte le parti periferiche arriva al cuore per poi prendere nuovo impulso e proseguire il suo percorso; così, da tutto il mondo, si viene a San Pietro per rigenerare la propria fede sull’apostolo Pietro e poi si riparte”.

Come è la sua giornata?

“Io passo molto tempo in Basilica e con i fratelli canonici abbiamo una postazione di accoglienza attraverso la quale diamo la benedizione a tutte le persone che vengono, è un momento molto bello. Sulla mia scrivania arrivano le mail più varie che si traducono in incontri con mamme, fidanzati che si vogliono sposare a San Pietro, sacerdoti che qui vogliono celebrare, insomma, le cose più disperate. Diamo a tutti appuntamento qui nell’ufficio parrocchiale e organizziamo la celebrazione dei loro sacramenti. La presenza, l’attenzione al rispondere è molto importante. Poi ci sono parroci che scrivono per venire con i loro parrocchiani, per le catechesi, qualcuno che vuole fare un percorso più specifico. Ma il mio cuore è particolarmente aperto ai pellegrini, soprattutto a quanti vengono a piedi, con le loro storie, è sempre molto emozionante. Ci sono anche pellegrini molto particolari”.

In che senso? 

“Questa estate ho accolto un gruppo di pellegrini che sono venuti a cavallo fino al centro della piazza di San Pietro. L’anno scorso, un ragazzo calabrese è partito da San Gottardo, aveva le credenziali del pellegrino per sé e per la sedia a rotelle. Mi ha spiegato che sua madre era molto malata e non aveva potuto partecipare: quello era il suo modo per farle vivere il pellegrinaggio. E’ stato molto commovente accompagnarlo sulla tomba di San Pietro”.

Chi è, oggi, il pellegrino?

“E’ una persona che parte da casa sua sapendo dove va. All’inizio sa chi è, ma non sa chi sarà. Durante un pellegrinaggio, cambiano molte cose, soprattutto le motivazioni per cui si è intrapresa questa avventura. Io sono stato un pellegrino, ho fatto il Cammino di Santiago di Compostela: in principio hai tanti buoni propositi che, con la stanchezza, le difficoltà, si trasformano man mano in motivazioni più capaci di spingerti in avanti. Sono tanti i pellegrini che vengono qui e molti vengono presi nella rete di Pietro: lui continua a svolgere la sua missione di pescatore di uomini”.

Tu incontri mai Papa Francesco?

“Lo vedo spesso, mentre passa all’interno della Basilica, quando va in piazza, mi rallegra sempre riscaldarmi al calore della sua presenza”.

Lei è francescano: da dove deriva questa vostra gioia che vi contraddistingue?

“Ti rispondo con due parole: letizia e semplicità. La letizia nasce dall’esperienza della croce di Gesù che ha la capacità di trasformare anche la notte più scura in un mezzogiorno. San Francesco diceva “perfetta letizia”: non è un sorriso dal fatto che tutto va bene o da un ottimismo, ma è la conformazione a Cristo crocefisso. La semplicità è trovare la pace laddove sai che il Signore ti vuole. Sono i miei punti di riferimento”.

Il 24 dicembre inizierà il Giubileo della speranza, come si appresta a vivere questo anno santo?

“Nei mesi passati, abbiamo preparato la Basilica stabilendo come mettere a punto l’accoglienza, come mettersi accanto a chi viene a celebrare, salutare. E’ come quando in una casa si cede il posto di onore all’ospite, affinchè tutti si possano sentire a casa. Inoltre, abbiamo cercato di mantenere fermi tutti i punti di devozione per fare in modo che tutti i pellegrini possano godere della vita di preghiera della Basilica. Ora, mano a mano che si avvicina il momento dell’apertura della Porta Santa, sono sempre più sereno perché il lavoro da fare è stato fatto. Come quando, a casa, aspetti che arrivino le persone che hai invitato a cena: tutto è pronto, manca solo che suonino alla porta gli ospiti”.

Fra pochi giorni celebreremo il Natale. Che significato ha per te accogliere Gesù in questo mondo sofferente, devastato dalle guerre e dalla violenza?

“Più viviamo situazioni difficili, privazioni, sofferenze, più la Stella di Betlemme diventa luminosa. Il Natale del Signore è una risposta a tutte le attese dell’umanità. Con il Natale celebriamo la nascita della luce più vivida nella notte più oscura, laddove nessuno si aspetterebbe che Dio possa nascere, lì nasce Gesù: non in una reggia, ma in una stalla; non tra gente per bene, ma tra i pastori che notoriamente non erano persone tranquille. Questi contrasti delineano bene qual è l’acqua viva, la misericordia, il cibo della vita che ci viene offerto gratuitamente. In questo momento della storia così travagliato, comprendiamo il dono che viene offerto, con un Padre misericordioso e Gesù che viene a condividere la nostra natura umana, così ribelle e lontana. Dio non si è pentito di averla creata, anzi, lui stesso diventa uomo come noi affinché possiamo guardare in alto e sentirci amati da lui. Stando a San Pietro vado spesso sulla tomba di san Leone Magno, che dice riguardo al Natale: ‘Noi diamo a Dio la nostra fragile umanità, lui ci dà in cambio la divinità'”.

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