La scoperta delle onde gravitazionali ha proiettato gli studiosi in una nuova era della ricerca scientifica. Gli scienziati non hanno perso tempo, e subito hanno investito le loro forze nello studio di questo fenomeno. Dall’America arriva una proposta al quanto interessante: anche i radiotelescopi potrebbero intercettare le onde gravitazionali. A rivelarlo è la ricerca dell’osservatorio nord-americano NanoGrav, che propone di cercarle “ascoltando” le stelle molto dense e compatte, come le pulsar. La ricerca, pubblicata sull’Astrophysical Journal Letters, è merita anche dell’italiano Michele Vallisneri, che vi ha partecipato in qualità di membro del Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa.
Le onde gravitazionali, ipotizzate dalla teoria della relatività di Albert Einstein un secolo fa, solo nelle scorse settimane sono state rivelate, per la prima volta, dall’interferometro Ligo, possono essere definite come le “vibrazioni” dello spazio-tempo provocate da fenomeni molto violenti, come, ad esempio, collisioni tra buchi neri, esplosioni di supernove o il Big Bang, quell’enorme esplosione che, secondo gli scienziati, diede origine all’universo. Come le onde generate da un sasso che cade in una pozza d’acqua, le onde gravitazionali percorrono l’intero universo creando delle lievi “increspature” dello spazio-tempo. Questa leggera alterazione influenza il tempo che impiegano a raggiungere la Terra i segnali radio emessi dalle pulsar con un ritmo regolarissimo.
Al momento, gli astronomi sono, in particolare, a caccia delle onde gravitazionali di bassa frequenza, generate dalle coppie di enormi buchi neri mentre orbitano l’uno intorno all’altro ”abbastanza vicini per produrre onde, ma non troppo da fondersi” sottolinea l’astrofisico Andrea Possenti, del Sardinia Radio Telescope (Srt) dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e della Collaborazione Europea per l’Osservazione delle Onde Gravitazionali con le Pulsar (Epta).
A differenza dalla fusione di buchi neri, che genera increspature velocissime (come quelle intercettate da Ligo), le onde gravitazionali prodotte dalle coppie orbitanti di buchi neri sono vibrazioni molto lente, alcune volte impiegano anche diversi anni per attraversare lo spazio-tempo. Lo studio di queste onde, tramite l’osservazione con le pulsar necessita, infatti, osserva Possenti, “di segnali stabili, ripetuti e di lunga durata”. L’impresa non è semplice e richiede il monitoraggio non di una, ma bensì di molte pulsar, nonché una collaborazione internazionale tra i vari centri spaziali. Collaborazione, in parte, già in atto visto che, oltre al gruppo americano ed europeo, al lavoro c’è anche il centro australiano Parkes Pulsar Timing Array (Ppta).