Nelson Mandela è stato una delle più grandi figure del Novecento. Impegnato fin da giovanissimo nella lotta antirazzista, fu più volte arrestato e trascorse gran parte della sua vita in prigione, continuando a lottare per la fine dell’apartheid, il regime segregazionista sudafricano che isolava dalla minoranza bianca privilegiata la popolazione di colore molto più povera. Mandela entrò a far parte dell’African National Congress, l’organizzazione politica anti-apartheid fondata nel 1912 e ispirata all’insegnamento gandhiano della non-violenza. Ma dopo il massacro di Sharpeville, l’opzione non-violenta venne accantonata, Mandela divenne presidente dell’ANC e ne sviluppò un braccio armato. Arrestato, continuò la sua lotta in prigione, spesso in condizioni durissime, divenendo il simbolo della lotta anti-apartheid. Sempre più consapevole degli esiti disastrosi della lotta armata per la maggioranza di colore scelse per il ritorno alla non violenza. Dopo la sua liberazione nel 1990 cominciò un periodo difficilissimo di cambiamento radicale del Sudafrica sino alla fine dell’apartheid, attraverso una “rivoluzione negoziata” di cui Mandela fu il principale protagonista. Divenuto presidente nel 1994, ricevette il premio Nobel insieme a Frederick De Clerk, l’esponente della minoranza bianca che lo aveva liberato e che si batté con lui per la fine della segregazione razziale.
Il modo scelto per giungere a questo traguardo storico pose le premesse per sviluppi della storia sudafricana per certi versi ancora più importanti. Dopo decenni di un conflitto durissimo, sembrava impossibile realizzare la convivenza, fianco a fianco, come normali vicini di casa, fra uomini e donne che avevano subito o provocato – o entrambe le cose – una violazione dei più elementari diritti umani. Finito l’apartheid, il Sudafrica aveva un enorme problema di riconciliazione nazionale. Fra i primi atti da presidente, Mandela istituì la Corte costituzionale del nuovo Sudafrica, avviando la costituzione delle Commissioni per la verità e la riconciliazione. Al centro di tali commissioni ci fu la narrazione pubblica ed esplicita delle violenze perpetrate, tanto da parte di chi le aveva subite quanto da parte di chi le aveva compiute. Solo dopo tale passaggio, veniva valutata la possibilità di un’amnistia non generalizzata ma concessa caso per caso. La narrazione delle ingiustizie è diventata strumento di giustizia: il bisogno di raccontare e il dovere di confessare hanno aperto la strada a una riconciliazione non violenta altrimenti impossibile. Questa straordinaria esperienza di giustizia riparativa ha forgiato un nuovo concetto giuridico quello di ubuntu, tradotto generalmente come implicazione reciproca di diritti e doveri ma il cui significato più profondo è: accettare l’altro per essere quello che sono (Claudia Mazzuccato). Mandela è morto appena dieci anni fa, ma i valori cui ha ispirato la sua vita sembrano appartenere a un passato molto più distante da noi.