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Mons. Yoannis Lahzi Gaid: “L’ingratitudine: Tu sei l’uomo!”

Pubblichiamo una riflessione di Sua Eccellenza, Monsignor Yoannis Lahzi Gaid, ià Segretario personale di Sua Santità Papa Francesco. 

L’ingratitudine

Chi di noi non prova dolore quando viene schiaffeggiato da persone a cui non ha offerto altro che amore, generosità, rispetto e riverenza? Chi di noi non ha pianto in silenzio di fronte all’ingratitudine e all’irriconoscenza degli altri? Chi di noi non si è sentito frustrato quando un amico, fidanzato o compagno lo tradisce? Chi di noi non si è sentito tradito dal silenzio di chi avrebbe dovuto parlare e dalla vigliacca ritirata di chi avrebbe dovuto intervenire? Chi di noi non si è sentito arrabbiato per le azioni immorali, ingiustificate e incomprensibili di persone che avrebbero dovuto essere modelli di paternità, decoro, dignità e altezza morale? Chi di noi non ha trascorso la notte insonne, interrogandosi sulle ragioni di tutta questa ingratitudine e rifiuto?” ha affermato Monsignor Yoannis Lazhi Gaid, già Segretario personale di Sua Santità Papa Francesco, il quale ha aggiunto: “Prima di rispondere vorrei raccontare una storia che ha lasciato nella mia vita un grande segno, ed è la storia di un anziano che è venuto da me piangendo e mi ha detto: “Sono cresciuto in una famiglia meravigliosa e non mi è mai mancato nulla. I miei genitori hanno lavorato giorno e notte per provvedere a tutte le mie richieste e bisogni, siano stati importanti o banali, e senza motivo io invece, li trattavo sempre molto male, lamentandomi sempre e rifiutando tutto ciò che dicevano o facevano, rispondevo sempre al loro amore con parole offensive, arrivando fino alla violenza e agli insulti. Ero ingrato, arrogante, lamentoso, scontroso e scontento con loro, ma ero sempre affettuoso, sorridente, compassionevole ed educato con gli altri.

Ero il figlio peggiore della migliore famiglia. Oggi guardo al passato e alla mia mente tornano quelle immagini, i momenti e gli scontri che hanno fatto piangere mia madre e demolire mio padre. Ricordo questi momenti e li vivo come un film che si ripete continuamente e non riesco a fermarlo, ricordo tutto e non riesco più a smettere di rivivere quei momenti e rimpiangere ciò che ho fatto. I miei genitori, che sono morti, non hanno sentito una sola parola di gratitudine da parte mia. Oggi piango di dolore e di inquietudine, ma invano. Oggi desidero inginocchiarmi davanti a loro, baciargli piedi e chiedere il loro perdono. Oggi capisco quanto sono stato un figlio orribile per i miei genitori. Oggi provo rimorso perché ho ricambiato la generosità con l’ingratitudine e l’amore con l’ira, l’abbraccio con l’aggressività, e la cura con il lamento”.

Di fronte alle parole di dolore di quest’anziano, espresse quando era ormai troppo tardi, ho provato vergogna e rimorso. Anch’io mi sono spesso lamentato dell’ingratitudine che ho ricevuto da persone dalle quali aspettavo riconoscenza, e spesso mi sono lamentato delle azioni di queste persone ingrate e irriconoscenti, ma non ho mai chiesto perdono alle persone a cui io ho causato dolore, sia intenzionalmente che involontariamente. Mi sono guardato intorno e ho scoperto che tutti noi tendiamo sempre a sentirci vittime dell’ingratitudine e raramente ammettiamo di essere anche noi ingrati.

Ingrati verso le persone generose che ci hanno aiutato nella nostra vita, pensando che aiutarci fosse un loro dovere e un nostro diritto. Ingrati dinanzi agli insegnanti e agli educatori che ci hanno insegnato a camminare, scrivere, leggere, pensare e analizzare. Ingrati nei confronti dei nostri familiari, come se le nostre vite rimanessero le stesse, con o senza di loro. Ingrati nei confronti dei nostri amici, come se la loro lealtà, onestà e tolleranza nei nostri confronti fosse un loro dovere. Ingrati nei confronti dei nostri responsabili che ci hanno dato una possibilità dopo l’altra. Ingrati di fronte a coloro che ci hanno incoraggiato, ci hanno rincuorato e ci hanno portato dove siamo. Ingrati verso i nostri compagni di cammino, senza i quali non avremmo sopportato le difficoltà del cammino.Ingrati di fronte ai nostri figli che hanno dato senso ai nostri sforzi, al nostro lavoro, alla nostra fatica e alla nostra vita. Ingrati davanti a Dio come se la nostra vita fosse nostra, la nostra salute fosse scontata e il nostro respiro fosse innato.

Siamo tutti ingrati, ma la maggior parte di noi non si guarda allo specchio e tende a puntare il dito e a sostenere di essere vittima dell’ingratitudine degli altri. Tutti noi non sentiamo il valore delle cose e delle persone che illuminano la nostra esistenza finché non ci vengono a mancare. Scopriamo solo quando non ci sono più quanto buio regna nella nostra vita. Siamo tutti straordinari nel vedere la pagliuzza nell’occhio del nostro fratello, ma siamo tutti incapaci di notare la trave che è nel nostro occhio (Luca 6:41).

Valgono per tutti noi le parole di Dio nell’Antico Testamento: “Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha fatto uva selvatica?” (Isaia 5:4).Tendiamo tutti a perseguitare i profeti, a rovinare la reputazione dei bravi, a diminuire le vittorie degli abili e a sminuire il successo dei rigorosi (cfr. Giovanni 4:44). Tendiamo tutti a giocare il ruolo della vittima, a fingere di essere pii, a inchinarci o almeno a rimanere in silenzio e a sorridere davanti ai potenti, anche se hanno torto, e a schiacciare i più deboli di noi, anche se hanno ragione.

Siamo tutti ingrati perché ci risulta difficile dire “grazie” a coloro che ci fanno del bene, a chiedere scusa a coloro a cui abbiamo fatto del male e incoraggiare coloro che il Signore ci ha affidato. Ci comportiamo tutti come i vignaioli omicidi che, dopo aver ascoltato la parabola di Cristo, giudicarono prontamente gli altri: “Essi gli risposero: «Li farà perire malamente, quei malvagi, e affiderà la vigna ad altri vignaiuoli i quali gliene renderanno il frutto a suo tempo»”. (Matteo 21:41). Giudicati così dalla loro stessa bocca.

Abbiamo tutti bisogno di ascoltare le parole del profeta Natan, che disse a Davide: “Tu sei quell’uomo! Così dice il Signore, Dio d’Israele: Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, 8 ti ho dato la casa del tuo padrone e ho messo nelle tue braccia le donne del tuo padrone, ti ho dato la casa di Israele e di Giuda e, se questo fosse troppo poco, io vi avrei aggiunto anche altro”. (2 Sam 12,7-9).

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