La seconda sessione del Sinodo sulla sinodalità procede con incontri e relazioni in cui i temi più scottanti sono messi da parte per far spazio a un più ampio discorso di metodo. Dopo la prima sessione che molti videro (con paura o entusiasmo, a seconda delle posizioni) come una porta di accesso a grandi stravolgimenti e aperture, la seconda sessione si è aperta nel silenzio dei media, privati di quelli “scoop” sensazionalistici (“la Chiesa apre a…”) di cui hanno bisogno per “fare notizia”. Nessun stravolgimento, nessuna sterzata e nessuna fuga in avanti sembra al momento all’orizzonte.
Di fatti il documento preparatorio ha escluso dalla discussione sia la questione del diaconato femminile che quella sull’omosessualità. Temi caldi, caldissimi, su cui molti riponevano grandi speranze in vista della sessione autunnale del Sinodo del 2024.
Anche il Papa in una intervista rilasciata al canale americano CBS lo scorso 20 maggio, aveva escluso ogni possibilità di ordinare donne diacono nella Chiesa Cattolica. Queste dichiarazioni hanno deluso coloro che speravano che i discorsi sul ruolo delle donne all’interno della Chiesa portassero a un loro accesso al primo grado dell’Ordine Sacerdotale.
Una questione di metodo
Tuttavia più che le decisioni e le novità ciò che sembra interessare a Francesco e ai padri sinodali è l’implementazione e l’applicazione di un metodo che guidi il cammino della Chiesa verso nuove strade. Già l’Instrumentum Laboris della prima sessione parlava di “conversazione nello spirito” come il modo di procedere di una “chiesa sinodale” e missionaria. Questo metodo si presenta come una pratica utile per il discernimento nell’ascolto e nel rispetto reciproco, prima ancora di prendere decisioni utili per la Chiesa. Il documento del 2023 (ai numeri 32-42) spiega in cosa consista la conversazione nello spirito. La conversazione viene intesa «non [come] un generico scambio di idee, ma quella dinamica in cui la parola pronunciata e ascoltata genera familiarità, consentendo ai partecipanti di diventare intimi gli uni degli altri».
L’adozione di questo metodo specifico è stata confermata dall’Instrumentum Laboris della seconda sessione del Sinodo sulla sinodalità. Si afferma infatti “Come già nelle fasi precedenti, vengono riaffermati i frutti dell’adozione del metodo della conversazione nello Spirito”. Il metodo affonda le sue radici nella storia della Compagnia di Gesù e in particolare nelle deliberazioni dei primi gesuiti (1539) chiamati a prendere decisioni importanti per la congregazione, seguendo le indicazioni del fondatore sant’Ignazio di Loyola. Il Sinodo dunque propone questo metodo e la necessità di formarsi ad esso come “una priorità a tutti i livelli della vita ecclesiale” per poter procedere alla creazione di una chiesa sinodale.
Il libro sulla “conversazione nello spirito”
Il metodo è esplicitato nel libro “La conversazione nello spirito. L’arte del discernimento e la pratica della sinodalità”, recentemente tradotto dallo spagnolo e pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana. Gli autori sono due sacerdoti gesuiti: lo spagnolo Juan Antonio Guerrero Alves (per tre anni Prefetto della Segreteria per l’Economia) e Óscar Martín López che svolge la sua missione in Paraguay.
Nella Prefazione papa Francesco definisce il testo “un libro che costituirà un aiuto eccellente in molti ambienti ecclesiali». Gli autori, forti della loro esperienza ignaziana, introducono al metodo della conversazione spirituale. Dopo aver evidenziato la «mancanza di capacità di conversazione nel mondo civico” e la necessità di ritrovare spazio per quelli che il sociologo americano Ray Oldenburg chiama i «posti terzi» (spazi di conversazione e di incontro intermedi tra la famiglia e il lavoro), gli autori segnalano la specificità della conversazione che avviene “nello Spirito”.
La specifica “nello Spirito” indica «l’autentico protagonista» di questo tipo di conversazione che si oppone a ogni tipo di polemica, discussione e contrapposizione che caratterizzano gli ambienti in cui la Chiesa, in ogni latitudine, vive. Viviamo infatti un’epoca segnata dalla polarizzazione delle idee e radicalizzazione delle posizioni ed è in questo ambiente che la Chiesa è chiamata a rendere visibile e tangibile la comunione. La conversazione va condotta non a partire dal proprio pensiero ma secondo e in ascolto allo Spirito di Dio che educa e guida il discernimento.
Secondo gli autori del libro da questo tipo di conversazione «restano radicalmente esclusi le voci di corridoio, i gruppi di pressione e le astuzie più o meno dissimulate per alimentare o condizionare una “opinione pubblica”.
Piccoli gruppi di lavoro
Conversare nello spirito significa creare un’atmosfera di comunione che ponga le basi per in discernimento comune pur considerando diversi metodi o approcci, “passando dall’io al noi”, dove l’io non si annulla ma si inserisce all’interno di una comunità. I padri sinodali descrivono ancora la conversazione nello spirito come «una preghiera condivisa in vista di un discernimento in comune». Non vi può essere infatti nessuna conversazione spirituale che non sia preceduta dal silenzio e dalla preghiera personale, dalla “meditazione della Parola e dei Sacramenti”.
La conversazione spirituale si attua pienamente in piccoli gruppi di lavoro composti da persone diverse per sesso, età, ruolo istituzionale, professione e provenienza geografica. È così che all’interno dei “circoli minori” del Sinodo si possono vedere seduti attorno allo stesso tavolo – in un atteggiamento di umiltà e in un piano di uguaglianza – cardinali e laici, donne e uomini, giovani e anziani, tutti impegnati nell’ascolto vicendevole. Persino il Papa siede al tavolo dei lavori ascoltando, offrendo il proprio contributo e rispettando i tempi dettati dal “facilitatore” (o segretario) del gruppo di lavoro.
Criticità di un metodo di lavoro
Quello che può sembrare un ottimo metodo di ascolto, nel rispetto e nella stima reciproca, può tuttavia lasciare emergere alcune criticità. Prima tra tutte quella della fase decisionale. La Chiesa non si governa con la democrazia diretta, né è la volontà popolare a orientare le decisioni. La conversazione nello spirito può far emergere le voci di tutti, anche quelle apparentemente inascoltate. Tuttavia le decisioni sulle questioni ordinarie e straordinarie spettano ai Vescovi e, in ultima istanza, al Papa. È a loro che, di diritto, è affidata la guida del popolo di Dio ed è a loro che spettano le decisioni più importanti. Il rischio – ancora una volta – è quello di creare false aspettative di una sorta di democratizzazione della Chiesa, seguendo schemi politici che nulla hanno a che vedere con la Chiesa di Cristo. Altro aspetto critico è la considerazione del Magistero e della Tradizione, troppo spesso visti e vissuti come materiale ingombrante da smaltire per fare spazio alle novità richieste “dalla base”. Una Chiesa sinodale deve dunque ascoltare la voce di ogni fedele, accogliere le opinioni di tutti e far proprie le ferite di ogni uomo, ma non potrà esimersi dal compito di mantenersi fedele al deposito della fede, che è chiamata a conservare al fine di trasmetterlo con fedeltà alla presente generazione. “O Timòteo, custodisci il deposito; evita le chiacchiere profane…” (1Tim 6,20)