Nato a Latina, di origine napoletana e una vocazione per il rugby scoperta in Sudafrica, dove si trasferì con la famiglia in anni difficili. Una storia che è un po’ una leggenda quella di Massimo Cuttitta, ex pilone dell’Italrugby, scomparso a soli 54 anni. Portato via, come sua mamma pochi giorni fa, da un avversario chiamato Covid. Un rivale che non rispetta regole e che non può essere sconfitto in mischia. Quelle in cui Maus, come era soprannominato, ci si trovava meravigliosamente bene. Pilone e uomo-guida, quasi 70 partite in nazionale e un monumento del rugby di casa nostra.
Cuttitta, campione a Milano
Ma del resto, la famiglia Cuttitta l’ovale ce l’aveva nel sangue. Il fratello maggiore, Michele, lo praticò a livello dilettantistico. Il gemello di Massimo, Marcello, fu ala storica della Nazionale, che il rugby d’altissimo rango lo assaggiò già ai Mondiali del 1987, poco dopo il ritorno in Italia dal Sudafrica. Massimo attenderà ancora qualche anno: 1990, con l’insediamento del francese Bertrand Fourcade sulla panchina azzurra. Da lì sarà un’ascesa continua, con ben due mondiali giocati accanto al suo gemello (1991 in Inghilterra e 1995, proprio in Sudafrica) e una man bassa di titoli nazionali. Assieme a Marcello e ad altri fuoriclasse dell’epoca (come Dominguez, Vaccari e Croci) costruì un decennio d’oro, che valse quattro titoli nazionali e una Coppa Italia.
Leggenda azzurra
Ma anche in nazionale, nonostante l’assenza di una bacheca di prestigio, Massimo Cuttitta il suo contributo lo ha portato eccome. I 69 caps di Maus, registrati nell’arco di un decennio (1990-2000) gli valsero una fama di tutto rispetto. Anche Marcello, ala, qualcosa di buono lo ha fatto: 54 caps e 24 mete in azzurro, record ancora imbattuto. Su un periodo più lungo però, dal 1987 al 1999. Uno accanto all’altro hanno vissuto forse l’epopea più brillante della storia azzurra. Le battaglie vinte sul campo sono valse a entrambi l’ingresso nell’olimpo dei più grandi.