Quando visse San Giovanni Bosco (1815-1888) tutta l’Italia era un paese in piena trasformazione, nella città di Torino i processi di industrializzazione, di urbanizzazione e il fenomeno dell’emigrazione dalle campagne verso la città stavano creando nuove e complesse sfide sociali a tutto il popolo. Così coloro che soffrivano questi cambiamenti erano i giovani, in particolare, essi si trovavano spesso soli e disorientati, vittime di sfruttamento e abbandono.
Proprio in quegli anni e nel particolare clima creato dalla rivoluzione industriale, don Bosco, com’era familiarmente chiamato, veniva spesso a contatto con i tanti giovani, che si recavano per cercare un’opportunità di lavoro in fabbrica o in uno dei tanti cantieri. Egli parlava sovente anche con i bambini, che per vivere facevano gli spazzacamini e prese le loro difese con chi voleva sfruttarli. Non poteva, inoltre, don Bosco, dimenticare i giovani carcerati e ben presto si accorse delle terribili condizioni in cui essi vivevano. Il sacerdote piemontese, comprese che era necessario creare un luogo dove i giovani potessero sentirsi accolti, amati e soprattutto valorizzati.
E’ il periodo della nascita dell’oratorio, che diviene un polo di aggregazione e di crescita, dove i ragazzi stessi, potevano studiare, avere momenti dedicati al gioco, veniva anche offerta la possibilità di una formazione professionale, si poteva imparare un mestiere e soprattutto pregare. Se riflettiamo un attimo possiamo sicuramente vedere come ancora oggi purtroppo si continua a parlare di povertà, di emarginazione e della ricerca per un futuro migliore, sembra, a pensarci bene che il tempo non abbia insegnato niente all’uomo di oggi. Eppure i valori promossi da don Bosco, come la solidarietà, la giustizia e la speranza valgono per tutti coloro che hanno anche culture e religioni diverse. Dovremmo prendere esempio da persone del genere che hanno speso tutta la propria vita, in favore del prossimo e soprattutto senza chiedere nulla in cambio.
Di don Bosco, ricordiamo anche l’attaccamento verso la Vergine, ebbe una profonda devozione che influenzerà profondamente la sua vita e il suo lavoro. Questa devozione fin più dalla tenera età, l’aveva ereditata da sua madre, Margherita Occhiena (1788-1856) e divenne un pilastro fondamentale del suo sistema educativo e spirituale. La madre educò don Bosco all’amore e alla devozione verso Maria attraverso la preghiera e l’esempio quotidiano. Questo amore per Maria, gli rimase per tutta la vita.
La devozione fu rivolta a Maria, sotto il titolo di Ausiliatrice, e la considerava come la protettrice della sua opera, ed egli confiderà l’8 dicembre 1862, che il suo attaccamento a questa immagine mariana, era essenzialmente dovuto, al suo ruolo di “aiuto” nelle diverse opere degli Oratori. C’è da ricordare che il titolo e la devozione a Maria Ausiliatrice nella vita di don Bosco si imposero in forma graduale.
Don Giuseppe Cafasso (1811-1860) aveva inviato Don Bosco ad esercitare il suo primo ministero sacerdotale nella chiesa torinese di S. Francesco di Paola, dove c’era un altare e una statua della Madonna Ausiliatrice e inoltre in un calendario appeso nella stanza di don Bosco, erano riprodotte 5 immagini della Vergine; una di essa portava la seguente scritta: “O Vergine Immacolata, tu che sola portasti vittoria di tutte le eresie vieni in nostro aiuto, noi di cuore ricorriamo a te: Auxilium Christianorum ora pro nobis”.
Egli volle fortemente, a Torino la costruzione di un santuario dedicato a Maria Ausiliatrice, la costruzione iniziò nel 1865 e fu completata qualche anno più tardi e così si espresse lo stesso don Bosco affermando che “…ogni mattone di questa chiesa corrisponde a un miracolo della Beata Vergine…”. In una cappella sono conservate le spoglie di San Giovanni Bosco si trovano all’interno di un’urna, esposta in una cappella situata in fondo alla navata destra del santuario.