Come sta il Mar Mediterraneo o “mare nostrum”, come lo chiamavano gi antichi romani? Cosa si nasconde sotto la sua superficie? Un mare di straordinaria bellezza che racchiude un'enorme complessità di flora e fauna. Secondo i dati del Wwf, nel “mare nostrum”, le ultime stime effettuate sulla biodiversità marina del Mediterraneo indicano la presenza di circa 17.000 specie. La biodiversità del Mediterraneo rappresenta, a seconda dei gruppi tassonomici, dal 4 al 25% della diversità di specie marine globali. Il Mediterraneo contiene circa il 7.5% delle specie mondiali in una superficie pari a 0.82%. Si può quindi dedurre che la ricchezza di specie per area è circa 10 volte superiore alla media mondiale.
Biodiversità a rischio
Biodiversità che costantemente viene minacciata dalla pesca illegale, dall'inquinamento e dai cambiamenti climatici. Secondo una ricerca realizzata da 120 biologi marini di tutto il mondo, e pubblicata sulla rivista Nature ecology and evolution, promossa dal presidente della Stazione zoologica “Anton Dohrn”, Roberto Danovaro, le prodondità marine del Tirreno lungo le coste di Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna, sono tra gli habitat più vulnerabili del Mediterraneo.
L'intervista
Ma quale è realmente lo stato di salute del Mediterrano? Quali conseguenze provocano i cambiamenti climatici? Cosa fare? Domande che In Terris ha posto al dottor Saša Raicevich (PhD), Resp. Area per la conservazione, la gestione e l'uso sostenibile del patrimonio ittico e delle risorse acquatiche marine nazionali (Area BIO-CIT) dell'Ispra, l'Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.
Dottor Raicevich, quali sono le condizioni di salute del Mar Mediterraneo?
“Direi che non sono ottimali, anche se la valutazione dipende dai parametri che prendiamo in considerazione. Ci sono alcune tendenze di timido miglioramento, ad esempio nello stato delle risorse ittiche, sebbene ancora il 75% rimanga sovrasfruttato. C'è una prognosi di attenzione sulla biodiversità, anche se va osservato che, almeno adesso, c'è uno sforzo sempre maggiore per la conservazione. Inoltre, se confrontiamo la situazione odierna del Mediterraneo rispetto a quella che poteva essere venti o trenta anni fa, ad esempio per la contaminazione e per l’eutrofizzazione, c'è un miglioramento. Per alcuni comparti non possiamo dire che le condizioni di salute del Mediterraneo non destino preoccupazione. Abbiamo fenomeni come la tropicalizzazione, diffusione di specie invasive dal Canale di Suez, ad esempio. Altre specie non indigene, arrivate anche con le acque di sentina delle navi, si diffondono in modo preoccupante”.
I cambiamenti climatici, quali conseguenze possono avere sul Mediterraneo?
“Sicuramente, prima sui parametri fisici e chimici, ad esempio con il riscaldamento delle acque superficiali e alterazione della stratificazione, e quindi sulle componenti biologiche, provocando possibili morie, ed espansione spaziale verso nord delle specie ad affinità termofila, un fenomeno che chiamiamo meridionalizzazione. Le specie ad affinità atlantica si concentrano a loro volta nelle parti più settentrionali del Mediterraneo. Per l'Adriatico ci aspettiamo una concentrazione di queste specie con possibili situazioni di collasso di alcune risorse, incapaci di adattarsi ai cambiamenti climatici, un'alterazione che si può riverberare a livello ecosistemico. Quanto importante sarà e quando avverrà questo cambiamento è difficile da prevedere ma i segnali sono già presenti. I prossimi anni saranno decisivi per comprendere che portata avranno questi cambiamenti e serve quindi una strategia di adattamento”.
Lo scorso anno, tra l'isola d'Elba e la Corsica, era stata riscontrata la presenza di un'isola di plastica. Che politiche si stanno mettendo in campo per preservare la salute dei nostri mari?
“Non penso sia corretto parlare di isole di plastica in senso letterale. Sono delle zone dove, a causa delle correnti, c'è una maggiore concentrazione di rifiuti plastici galleggianti e in sospensione, anche particelle di pochi millimetri o meno. Rispetto alle politiche si stanno facendo dei passi in avanti, siamo in attesa anche dell'emanazione del Decreto Salva Mare, che a livello nazionale rappresenta uno strumento per andare a prevenire e limitare la diffusione delle plastiche in mare, soprattutto quelle sul fondo. E’ prevista una collaborazione più forte con i pescatori che, durante il loro lavoro, raccolgono molti rifiuti in mare, ma che per varie cause è ancora molto difficile sbarcare e smaltire. E’ un tema che va affrontato su molti livelli: pensiamo alle filiere che producono rifiuti, quello che arriva in mare non proviene solo dalla zona costiera ma anche dall'entroterra attraverso i fiumi. Si stanno diffondendo misure utili che vanno contro l'utilizzo di prodotti monouso di plastica. Sembrerebbe che il tema sia stato preso in considerazione, molte azioni sono state messe in atto, ma c'è ancora tanto da fare. Tutti dobbiamo fare la nostra parte”.