Parte lo scorso Giugno dal carcere di Reggio Emilia un laboratorio teatrale con il metodo del teatro dell’oppresso. Tenuto da Roberto Mazzini della cooperativa sociale Giolli di Parma, che dal 1995 lavora con i detenuti, con l’aiuto di alcuni volontari. Tema del laboratorio è il lavoro nelle carceri, che dovrebbe essere consentito a tutti per legge, ma non sempre è così.
Mazzini spiega :“Usiamo il teatro dell’oppresso, metodo che utilizza il teatro per analizzare situazioni problematiche e che trasforma lo spettatore in spett-attore che interviene sulla scena per trovare una risposta alla domanda posta dai detenuti, per cercare una soluzione al problema”. Questo forma teatrale, creata dal regista brasiliano Augusto Boal, ha l’obiettivo di fornire strumenti di cambiamento personale, sociale e politico per tutti coloro si trovino in situazioni di oppressione.
L’obiettivo anche è quello di far comunicare il “dentro” e il “fuori”, per cercare di far superare la visione stereotipata del carcere e dei suoi residenti. “Vogliamo invitare esperti di lavoro, della CNA, dei sindacati per capire, insieme a loro, come mai non c’è lavoro all’interno del carcere” continua Mazzini.
Al laboratorio partecipano sedici detenuti maschi, italiani e stranieri, giovani e meno giovani, con condanne diverse tra di loro ma tutte di lunga durata, ed è già stato portato in scena sette volte fuori dal carcere dall’inizio del programma, con spettatori diversi a seconda del tema trattato. Spiega Mazzini: “Abbiamo fatto incontri umani significativi. Alcuni degli spettatori erano molto scettici, avevano un’immagine stereotipata dei detenuti, ma poi si sono ricreduti”.