L’“ansia da mail” (o “mail anxiety”), molto diffusa nel mondo tecnologico contemporaneo, consiste nella febbrile preoccupazione di controllare la posta elettronica anche fuori dell’orario di lavoro, per il timore di perdere qualche aspetto importante. In un’ottica lavorativa in cui anche la società ipercompetitiva sembrava aver segnato il passo (dopo il disagio patito con il Covid-19), in favore di una realizzazione professionale più rivolta al benessere che alla carriera, si pone ora, tuttavia, il fenomeno della mail anxiety. Si può vivere d’angoscia in quanto costretti dall’ufficio o perché si punta alla carriera offrendo la massima disponibilità. Il disturbo si traduce in una vera dipendenza dalla mail o chat aziendale. Tale deriva, comporta un’ansia esagerata, che non permette di godere appieno dei momenti di riposo. Nella convinzione di esser sempre pronti e performanti, si finisce, invece, in una collaborazione meno sana e proficua poiché non salvaguardata né accuratamente dispensata.
Non è solo l’imprevedibilità o l’immediatezza del contenuto di una mail a destabilizzare bensì il numero elevato di quelle scambiate, tanto che subentra un’ulteriore forma di stress legata proprio al timore di non essere in grado, a livello di tempo, di leggerle tutte, valutarle e rispondere al meglio. La tecnologia sembra prendere il sopravvento sull’essere umano che non riesce a stare al passo.
Molte volte, l’ansia supera la stessa velocità di lettura e risoluzione richiesta dalla mail. Un messaggio di posta elettronica, difatti, pur non trasmettendo un’informazione immediata a cui rispondere in maniera rapida, risulterebbe scambiato e percepito come urgentissimo. L’impazienza della mail, in questo caso, supera il suo stesso contenuto reale, la sua tempistica di soluzione.
Tale paura costringe, chi ne soffre, a un rapporto continuo e inseparabile con il proprio telefono cellulare o altro dispositivo. La notifica, in sé, costituisce il primo campanello d’allarme e, da “apripista”, determina dubbi, perplessità, paure per il contenuto che segue.
Nel Messaggio destinato ai partecipanti alla II edizione di “LaborDì: un cantiere per generare lavoro”, promosso dalle ACLI di Roma, Papa Francesco, il I dicembre 2023, precisò “Vedo così il lavoro oggi: come un bel cantiere aperto per costruire il futuro, all’interno del quale, però, si respira, da una parte, un senso di vuoto e dall’altra un sovraccarico di stress dato da corse febbrili. Un senso di vuoto: la parola ‘lavoro’ oggi, purtroppo, ne evoca spesso la mancanza, e ciò rappresenta una grave ferita alla dignità di tante persone […] riflettere anche sull’estremo opposto al senso di vuoto: quella corsa febbrile presente oggi nel cantiere del lavoro, dove il tempo sembra non bastare mai e gli imperativi della produttività diventano sempre più esigenti e travolgenti. Se prima vi parlavo di ‘lavoro che manca’, qua si tratta di ‘lavoro che schiaccia’: pressione costante, ritmi forzati, stress che provoca ansia, spazio relazionale sempre più sacrificato in nome del profitto a tutti i costi. È il lavoro ‘mercificato’, che cresce nel nostro contesto, dominato da un mercato che per essere competitivo si fa sempre più accelerato e complesso”.
Il professor Guido Alessandri è l’autore del volume “Il benessere lavorativo” (sottotitolo “Una prospettiva psicologica”), pubblicato da “Carocci” il 24 gennaio scorso. Parte dell’estratto recita “Il testo presenta le teorie e le ricerche più recenti da un punto di vista multilivello che considera la persona, la sua complessità psicofisiologica e la sua costante interazione con l’ambiente, in un processo circolare e ricorsivo. I capitoli affrontano il passaggio epocale dalla preminenza delle categorie di efficienza e prestazione alla crescente rilevanza del benessere individuale e organizzativo, oggi considerato un parametro essenziale per il successo delle organizzazioni”.
IPSOA (quotidiano di informazione professionale su fisco, lavoro e azienda), il 22 luglio scorso riportava, al link https://www.ipsoa.it/magazine/report-gallup-2024-lavoratori-ancora-troppo-insoddisfatti, i risultati del Report Gallup (Istituto statunitense di ricerche statistiche e dati sull’opinione pubblica). Fra le numerose informazioni, ottenute sottoponendo il questionario a oltre 2 milioni di lavoratori nel mondo, si legge “Solo il 23% dei dipendenti a livello globale si sente coinvolto nel proprio lavoro, un dato che negli Stati Uniti e in Canada sale al 33%, ma che in Italia crolla, a esempio, all’8% (ed era addirittura al 5 lo scorso anno. Peggio di noi, in classifica, solo Francia e Lussemburgo). […] quasi la metà dei nostri connazionali, il 46% degli intervistati, ha sostenuto di sentirsi stressato per buona parte della giornata di lavoro (stessa percentuale dello scorso anno, settimo posto in classifica); il 25% ha dichiarato di sentirsi triste/amareggiato (terzo posto in classifica, con un lieve miglioramento rispetto al report precedente: -3%); mentre per fortuna solo l’11% ha risposto di avere provato sentimenti di rabbia (31esimi in classifica, dopo di noi i più tranquilli sono scandinavi e portoghesi)”.
Il 22 novembre scorso, Adnkronos, riportava, al link https://www.adnkronos.com/Archivio/economia/email-stress-lavoro-ricerca_1I3D0UiSPdIOlaBBbFVJWx, i risultati di una ricerca effettuata da Babbel (piattaforma digitale per l’apprendimento delle lingue) negli Usa. Fra le numerose statistiche, si legge “A contribuire all’e-mail ‘anxiety’, nota anche come ‘apnea da e-mail’, è poi la tendenza a procrastinare l’apertura delle mail: 1 statunitense su 100 ha attualmente più di 50.000 e-mail non lette nella casella di posta elettronica di lavoro, il 18% dei rispondenti ne ha più di 1.000 e il 6% oltre 5.000 […] 6 intervistati su 10 hanno ammesso che il volume di e-mail ricevute è un fattore che contribuisce a incrementare i propri livelli di stress”.
Occorre cercare la giusta conciliazione secondo la moderna locuzione inglese di “work life balance”: equilibrio tra vita privata e vita lavorativa. Al contrario, chi vive con enorme disagio la convivenza fra tempi di lavoro e di riposo, ne subisce i contraccolpi psicofisici, coinvolgendo, spesso, i familiari. Le ripercussioni si evidenziano anche a carattere sociale, inquinando e riducendo le relazioni.
Le conseguenze di tipo psicofisico sono devastanti: da quelle cardiorespiratorie (tachicardia), gastrointestinali (nausea), vestibolari (svenimento), psicosensoriali (depersonalizzazione). A ciò si aggiungano fenomeni di irritabilità, perdita del sonno e scarsa capacità di concentrazione.
La tecnologia modifica il mezzo ma non cambia, di fondo, il principio. Un tempo, a spaventare alcune categorie di lavoratori, era la telefonata del capo o dell’ufficio (come sarcasticamente ricordato nei film di Fantozzi); ora vi sono altri mezzi, in primis la posta elettronica. Quest’ultima rimane ancora molto sfruttata, nonostante la concorrenza di WhatsApp e dei social (usati soprattutto per messaggi brevi), poiché ben strutturata e formale, in grado di offrire informazioni ed allegati molto particolareggiati. La mail, inoltre, è ulteriormente stressogena poiché è irrevocabile (al contrario, a esempio, dei messaggi di WhatsApp che possono essere annullati del tutto, per tutti): ciò che è scritto rimane per sempre.
Rispetto al passato, tuttavia, non è cambiato soltanto il mezzo e il tipo di legame “h24” tra lavoro e lavoratore; sono mutate anche le condizioni di vita. Il culto e l’adesione a una società sempre più veloce, in grado di fornire beni e servizi in tempi rapidissimi, pena l’esclusione dal mercato, hanno esasperato un rapporto già complesso.
La velocità con la quale un consumatore riceve un prodotto oppure ordina o acquista direttamente, anche in orari e giorni un tempo dedicati al riposo, presuppone, a fondamento, un vortice dinamico di operazioni e di coinvolgimento professionale. Il consumatore, spesso, sottovaluta questo aspetto che trascina tutti, o quasi, in un turbine senza freno. La tipologia del lavoro che si svolge e una maggiore reattività nell’essere coinvolti, conducono allo stress, a controllare in continuazione il possibile arrivo di una mail o alla spasmodica attesa che giunga il messaggio risolutore.
La lettera “e”, che, dagli anni ‘90 del secolo scorso simboleggiava il progresso, il successo, la novità, con locuzioni del tipo “e-commerce” ed “e-learning”, è il prefisso anche di alcune nefaste conseguenze; la mail anxiety, infatti, è anche definita “e-anxiety”.
Occorre chiedersi sempre perché e come si è arrivati a questa ansia così diffusa e invalidante, con ripercussioni continue. Lo strumento veloce per eccellenza, Internet, ha rivoluzionato la forma e i tempi della comunicazione, realizzando l’informazione all’istante, immediata. In questo senso, ha velocizzato il mondo, connettendo i computer di tutto il pianeta, in barba alla tempistica precedente e ai fusi orari. Lo strumento, in sé, non è negativo, lo è l’utilizzo malsano.
Il mercato contemporaneo rappresenta il concetto di fondo: battere la concorrenza, anche sul filo dei secondi. Arrivare primi dove gli altri arrivano dopo. Tale competizione esasperata, intrisa di puro arrivismo ed egoismo, trascina tutti con sé, ai propri ritmi: illude i vincitori, li premia nel breve tempo, poi li spazza via in nome del nuovo vincitore di turno. I primi di ieri possono essere gli ultimi di domani: l’arena non fa sconti, non aspetta né è indulgente o grata. A terra, lascia le vittime bruciate dall’ansia da mail.