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Repubblica Democratica del Congo: un mare di sofferenze solcato con coraggio da Luca Attanasio

Mentre quello che un tempo si sarebbe definito primo mondo, Italia inclusa, si rinserrava in casa per la quarta ondata del Covid-19, il paese dove l’ambasciatore italiano Luca Attanasio fu ucciso un anno fa per 50 mila dollari chiudeva il 2021 con la tredicesima epidemia di ebola in quarant’anni, la quarta dal 2018, come certificato da Medici Senza Frontiere. Più che profezia di sventura per noi che ci siamo (quasi) lasciati alle spalle Omicron, la circostanza dovrebbe suonare a memento di ciò che la Repubblica Democratica del Congo era allora e resta oggi.

Un paese che la dovizia naturale – oltre il 60% delle riserve mondiali di cobalto, primo produttore di coltan, vaste miniere di diamanti, rame, oro e uranio tra le altre – pone al centro del risiko minerario ed energetico mondiale. Con attori vecchi – Regno Unito, Francia, Stati Uniti – e nuovi, Cina in primis, che si contendono risorse e influenza. Finanziando negli anni le guerre combattute tra e nei ben nove paesi confinanti (Congo-Brazzaville, Repubblica Centrafricana, Sudan, Uganda, Ruanda, Burundi, Tanzania, Zambia, Angola), matrici del milione circa di rifugiati residente oggi nella stessa RDC. E foraggiando le sanguinarie milizie locali che dal 1960, anno dell’indipendenza formale, hanno fatto almeno 5 milioni di morti e oltre 2 milioni di sfollati.

Il riferimento alla formalità dell’indipendenza è puramente e fortemente voluto. Quella sostanziale non è ancora pervenuta, stante l’asservimento economico-finanziario di stampo neocoloniale che assoggetta il paese ai fruitori dei suoi tesori, con la complicità dei governi locali. A cominciare da quello cleptocratico, spietato e longevo di Mobutu Sese Seko, al secolo Joseph-Désiré Mobutu; per continuare con quello di Laurent-Désiré Kabila, assassinato nel 2001 e rimpiazzato dal figlio Joseph, battuto per via elettorale nel 2019 dall’attuale presidente Félix Antoine Tshilombo Tshisekedi. Il voto, sulla cui regolarità osservatori internazionali e Chiesa cattolica locale hanno espresso forti e poco sorprendenti riserve, non deve ingannare. Il paese resta poverissimo, quasi privo di infrastrutture, sgovernato da un esecutivo centrale che mediamente fatica a tenere la capitale Kinshasa, etnicamente frazionato, soggetto alle destabilizzanti influenze d’oltreconfine e in balia degli interessi stranieri.

L’ondata di violenza che, sempre sul finire dell’anno scorso, ha colpito la provincia nordorientale di Ituri, riattizzando un conflitto che miete vittime dal 2017 – uno dei tanti di questo immenso paese, grande circa otto volte l’Italia e con un reddito pro capite di 544 dollari annui: 1,5 dollari al giorno, quando va bene – ha prodotto solo negli ultimi tre mesi oltre 40 mila rifugiati, riporta di nuovo MSF. Una goccia in quel mare di sofferenze che Luca Attanasio ha voluto solcare nel coraggioso, non rituale esercizio delle sue delicate funzioni.

Fabrizio Maronta, Redattore e responsabile relazioni internazionali di Limes

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