Le campagne militari in Iraq e Siria hanno portato all’uccisione di 45mila militanti dell’Isis dall’inizio delle operazioni, avviate due anni fa. Lo ha affermato il generale americano Sean Mac Farland, che guida la campagna della coalizione. Negli ultimi 11 mesi i jihadisti uccisi sono stati 25mila. “Riteniamo, – ha precisato il generale Usa – negli ultimi 11 mesi, di aver ucciso circa 25 mila combattenti nemici”. A questi vanno aggiunti “i circa 20 mila uccisi in precedenza”. Le forze del Califfato sono ridotte a “15mila-30mila” combattenti nelle due aree di conflitto e hanno grandi difficoltà nei reclutamenti, ha ribadito il Pentagono.
“Lo Stato islamico può arrivare a raggiungere le persone che trova per strada nelle città che controlla, dare loro un Kalashnikov e dire loro di difendere un posto di blocco – ha spiegato MacFarland – Ma è chiaro che ora non oppone più la resistenza di prima”. Secondo il generale, grazie alla pressione militare delle forze locali appoggiate dai raid americani, e all’offensiva della Russia e delle forze fedeli a Damasco, lo Stato islamico si trova costretto a “porre personale amministrativo a combattere in prima linea”.
Da quanto emerso dall’ultimo aggiornamento dell’operazione Odyssey Lightning pubblicato dal comando militare Usa per l’Africa (Africom), gli Stati Uniti in 8 giorni hanno compiuto un totale di 28 raid aerei a Sirte, roccaforte dell’Isis in Libia: una media di oltre 3 bombardamenti al giorno dal primo all’8 agosto. Lunedì scorso, un totale di otto raid Usa ha distrutto “una dozzina di postazioni nemiche e un camion”. Sabato 6 agosto, invece, quattro bombardamenti avevano distrutto “cinque postazioni nemiche e una mitragliatrice pesante”, riporta Africom.