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Don Preite: “Inserimento professionale per l’inclusione dei care leavers”

Al raggiungimento della maggior età i ragazzi ospiti delle comunità per minori si trovano a doversela cavare da soli. Le iniziative dei Salesiani per il sociale per la loro autonomia

Al compimento dei 18 anni si comincia a sentire il futuro sempre più nelle proprie mani, immaginandolo bello e positivo. Si avvicina il momento in cui ci si potrà assumere le proprie responsabilità, uscire di casa per andare all’università o per lavoro. Ma non per tutti i ragazzi lo scoccare della maggior età coincide con il sogno e l’ottimismo, bensì apre le porte dell’incertezza e dell’ansia. Sono i giovani adulti che giunti a quel punto della loro vita, dopo esser stati accolti in una struttura residenziale del sistema di protezione dei minori, devono affrontare il mondo da soli, o quantomeno a partire da una situazione di forte fragilità. Una condizione riassunta nella locuzione inglese “care leavers”.

Alcuni dati

Al 31 dicembre 2020 le 3.605 comunità per minorenni attive in Italia accoglievano 23.122 tra bambini e ragazzi, di cui 2.745 neomaggiorenni – uno su otto aveva un’età compresa tra i 18 e i 21 anni. La maggior parte degli ospiti delle comunità, in base all’indagine, ha tra 14 e i 17 anni ed è di cittadinanza italiana. In un quarto delle strutture residenziali la permanenza supera i due anni. Lo riporta la ricerca “La tutela dei minorenni in comunità”, realizzata dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza in base ai dati raccolti in collaborazione con le procure minorili. Si tratta della quarta raccolta dati di questa serie, con riferimento al triennio 2018-2019-2020.

L’intervista

I neomaggiorenni si affacciano all’età adulta e per loro comincia un delicato percorso di transizione verso il mondo al di fuori della comunità, con tutte le incognite del caso. L’accompagnamento graduale in questo passaggio è essenziale per aiutarli a costruire la loro autonomia esistenziale. Al loro fianco c’è anche l’associazione Salesiani per il sociale, ispirata all’opera di san Giovanni Bosco, che raduna organizzazioni di promozione sociale, volontariato, cooperative, enti ecclesiastici, e propone a questi giovani percorsi di inserimento professionale e lavorativo. Il presidente don Francesco Preite ha spiegato a Interris.it quali sono le iniziative messe in campo, tra cui una raccolta fondi solidale fino al 30 marzo.

Quanti sono i minori che ospitate nella vostra rete?

“In media, ogni anno accogliamo oltre 1.300 ragazzi in difficoltà: circa 300 ragazzi e ragazze nelle strutture residenziali, di cui il 25% in procinto di compiere 18 anni; e circa mille ragazzi e ragazze in quelle semiresidenziali, stessa percentuale per ‘i quasi maggiorenni’.  Questi numeri fotografano la situazione attuale, ma sono soggetti a cambiamento perché i flussi in entrata e in uscita dalle strutture sono mutevoli e dipendono da molteplici fattori non sempre prevedibili. Di questo numero complessivo, circa un quarto è rappresentato da minori o neo maggiorenni stranieri non accompagnati”.

Com’è stata la situazione nelle comunità per minori con il Covid il post-pandemia?

“Questi ultimi anni sono stati particolarmente difficili per i più giovani. Noi lavoriamo con e per loro da decenni, e dalla pandemia in poi abbiamo notato un aumento del disagio, delle difficoltà che investono i ragazzi in molti aspetti della loro vita: lavorativo, relazionale, psicologico. Oggi più che mai hanno bisogno che stiamo loro accanto, aiutandoli a costruire la propria strada”.

Come cambia la condizione dei giovani nelle comunità per minori quando diventano maggiorenni?

“I ragazzi che al raggiungimento della maggior età escono dai sistemi di tutela per minori, in inglese care leavers, devono aggiungere il peso di dover essere totalmente autonomi alla già difficile situazione che i giovani stanno vivendo in questo periodo. Secondo il rapporto Istat sul Benessere equo e sostenibile, infatti, negli ultimi anni i giovani tra i 14 e i 24 anni hanno visto peggiorare il 43% degli indicatori considerati. Autonomia per questi ragazzi significa in primo luogo avere un lavoro, che non è scontato in un Paese in cui la disoccupazione giovanile è al 20,1% (seppur in miglioramento rispetto al passato) e il fenomeno dei Neet (giovani che non studiano e non lavorano) registra numeri che sono tra i più alti di tutta Europa”.

Come rendere autonomi i care leavers?

“Un proverbio africano dice che per educare un bambino ci vuole un villaggio. Per rendere autonomi i care leavers c’è bisogno di una rete fatta di persone, associazioni, istituzioni, imprese che mettano la persona del giovane più fragile al centro della loro azione. Abbiamo provato a fare questo con il programma nazionale ‘Officine Don Bosco’. L’idea è quella di accogliere, accompagnare, formare i care leavers includendoli nelle nostre Comunità educative pastorali, anche attraverso supporto psicologico ed educativo, ed accompagnandoli nel percorso di formazione professionale coinvolgendo le imprese del territorio, attraverso l’orientamento al lavoro, tirocini lavorativi e possibilità di assunzione. L’inserimento professionale e lavorativo costituisce uno snodo decisivo nel percorso di inclusione sociale e il possibile avvio di un percorso di autonomia personale dopo l’uscita dal sistema di protezione e dell’assistenza. L’accompagnamento concreto verso l’autonomia permette a questi ragazzi di avere un mestiere in mano che permette loro di trovarsi una casa, poter pagare un affitto e vivere una vita normale, per guardare al futuro con speranza”.

Nei casi in cui non abbiano una casa dove tornare o andare, sperimentate forme di co-housing?

“La nostra proposta ‘Officine Don Bosco’ prevede l’accompagnamento dei neomaggiorenni verso l’autonomia, non solo professionale ed economica ma anche abitativa. Per questo, nella nostra rete abbiamo dieci strutture di housing sociale”.

Ci può illustrare quali progetti per l’inserimento lavorativo e professionale?

“Una delle nostre aree di intervento è proprio l’inserimento sociale e lavorativo dei giovani. Lo scorso anno, abbiamo attuato quattro progetti con un investimento di quasi 40mila euro per finanziarli. Uno è stato l’accordo con Samsung Electronics Italia per permettere a due giovani di Messina di partecipare a una formazione per ottenere il patentino F-GAS nell’ambito della refrigerazione/condizionamento. A Palermo, il progetto ‘Neet: Nuove energie educative territoriali’ prevede l’avvio di laboratori in collaborazione con il centro di formazione professionale locale negli ambiti della refrigerazione/condizionatori e saldatura elettrica. A Bari partirà a breve l’Accademia della ristorazione nel quartiere Libertà, uno dei più difficili della città dove sono presenti i Salesiani e prevede l’attivazione di corsi nell’arte della ristorazione per 50 giovani Neet. A Vallecrosia, in Liguria, infine, altri 50 giovani sono coinvolti nei laboratori di formazione promossi dalle categorie d’impresa”.

Quali sono i servizi di supporto per i care leavers da implementare?

“Certamente l’accompagnamento educativo ed il supporto psicologico non si può interrompere al compimento del diciottesimo anno ma gradualmente. È poi indispensabile accompagnare il giovane nel percorso di formazione e di orientamento al lavoro, come del resto faceva don Bosco”.

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