Quando si vuole organizzare un viaggio o partecipare a un’iniziativa o un evento, grazie ai social e alle app si possono esprimere le proprie preferenze, selezionando gli appositi “filtri” a disposizione, per rendere l’esperienza il più possibile personalizzata, o decidere che quella non è la cosa adatta perché non risponde a certi requisiti. Spesso è sufficiente misurare quanto il servizio sia vicino ai propri gusti e alle proprie aspettative per decidere, ma ci sono situazioni in cui le informazioni a disposizione sono dirimenti tra la scelta e la rinuncia. Sono quelle che riguardano le persone con disabilità motoria o sensoriale, esigenze specifiche come le intolleranze alimentari, o ancora le persone anziane. Per loro è infatti essenziale conoscere il grado di accessibilità di un luogo, di un mezzo di trasporto, di un servizio, di un’attività, non solo nel quotidiano ma anche quando intendono partecipare alle iniziative culturali, turistiche e ricreative. In un Paese che non presenta un alto tasso di accessibilità, tanto che non c’è neppure una città italiana tra le prime 10 al mondo per accessibilità secondo Class CNBC e solo 50 Comuni italiani su quasi 8mila si fregiano della “bandiera Lilla” adesso c’è una piattaforma che vuole rendere il turismo alla portata di tutti – una fetta di mercato che secondo Istat potrebbe crescere del 70%: Travelin è il sito di travel planning che aggrega gli itinerari per persone con disabilità o esigenze specifiche e gli consente di personalizzare le esperienze in base ai propri bisogni. Nato dalla curiosità e dalla spinta all’inclusione di una giovane imprenditrice torinese, Marta Grelli, che il prossimo 20 marzo sarà insignita dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana. Interris.it l’ha intervistata in occasione dell’8 marzo, la Giornata internazionale della donna.
L’intervista
Cosa significa vedersi assegnare un’onorificenza del genere?
“È una grande emozione e un riconoscimento della nostra visione, ci fa capire che siamo sulla strada giusta e ci sprona a non mollare”.
Come è nata l’idea di Travelin?
“La nostra generazione è più sensibile delle precedenti ai temi dell’inclusione. La nostra piattaforma è nata dall’unione di tre ‘puntini’: viaggi, impresa giovanile e disabilità. Dai 18 anni ho viaggiato molto zaino in spalla, anche con il volontariato internazionale. Alcuni anni fa, grazie ad amici startupper, ho conosciuto un modo diverso di fare impresa giovanile. Poi al primo giorno di università un ragazzo ipovedente mi ha fatto ‘conoscere’ il mondo della disabilità. La curiosità mi ha spinto a informarmi e quando ho saputo dell’esistenza del mercato del turismo accessibile, ho unito i puntini. Ho raccolto un gruppo di sei persone intorno alla mia idea e siamo partiti con un progetto che ha vinto il fondo di Invitalia per l’imprenditoria femminile da 50mila euro. Abbiamo lanciato la piattaforma al Salone del libro di Torino insieme all’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis), che ha appoggiato fin dall’inizio con entusiasmo la nostra iniziativa”.
Oggi è l’8 marzo, Giornata internazionale della donna. Com’è essere imprenditrice in Italia?
“L’uomo è avvantaggiato nel ‘sistema’, perché quando si espone con un’idea imprenditoriale è ritenuto più credibile rispetto a una donna. Ma ognuno di noi ha le sue doti, le sue qualità, le cose in cui è più bravo, per cui ritengo che per fare impresa occorra costruire una strategia che tenga conto di tutte queste possibilità. A livello economico, per l’imprenditoria femminile le agevolazioni esistono, occorre poi vedere se i progetti che partono prendono piede e riescono a crescere e ad avere un impatto. La vision del progetto, da sola, non basta, l’impatto sociale si ottiene creandogli interesse attorno”.
Qual è la vision di Travelin?
“Rendere equo e accessibile il mondo del turismo, aiutando le aziende a diventare esperte di accessibilità e autonome su questa competenza, in modo che il cambiamento parta da chi già fa parte del mercato. Esistono tanti modi diversi per perseguire la nostra vision, noi abbiamo deciso di cavalcare l’onda del ‘turismo per tutti’ piuttosto che creare un prodotto esclusivo per le persone con disabilità. Questo ci permette di creare un sistema davvero equo e non ghettizzante”.
Come si tengono insieme l’essere una realtà profit e la vocazione sociale?
“All’inizio ci suggerivano di diventare un’associazione, vuoi perché non c’era un grande ‘incoraggiamento’ all’imprenditoria e perché nel territorio piemontese ci sono diverse realtà no profit impegnate in questo ambito. Insieme a Dajana Gioffrè, attivista cieca per i diritti delle persone con disabilità, abbiamo pensato invece che per smuovere il mercato dovevamo fondare una società. Questo avrebbe dato più credibilità alla nostra realtà perché per convincere le aziende ad investire per essere più inclusive dovevamo essere i primi a crederci e a farlo sul serio. Il nostro obiettivo è dialogare con le altre società turistiche alla pari, proponendo un servizio”.
Siete un’esperienza all’avanguardia a livello nazionale?
“Abbiamo fatto delle ricerche di mercato a livello europeo e abbiamo visto che siamo gli unici ad aver realizzato una piattaforma adatta a tutti per organizzare i propri itinerari e progettata in un’ottica di universal design, cioè senza escludere nessuno”.
Quali sono i problemi e i ritardi dell’accessibilità turistica in Italia?
“Un’enorme barriera culturale ci separa dall’accessibilità. I dati Istat sul turismo accessibile non sono ben catalogati e le aziende se non hanno sottomano dei dati che indicano un vantaggio, non investono in quel segmento. Inoltre, le generazioni precedenti sono state abituate da un certo uso dei simboli, come il cartello con la figura in carrozzina per indicare le persone con disabilità, ad associare all’accessibilità soltanto la possibilità o meno per le persone con disabilità che stanno su una sedia a rotelle, quando invece le disabilità e le esigenze specifiche sono molte e differenti. Ci sono strutture che dichiarano la propria accessibilità (strumento utile per essere accessibili) ma spesso non sono aggiornati quando non proprio sbagliati rispetto alle esigenze specifiche della clientela. Questo succede perché non hanno una formazione adeguata e perché non tengono aggiornate queste informazioni”.
A chi si rivolge allora la vostra piattaforma?
“Mentre la disabilità e le esigenze sono strettamente personali, l’accessibilità deve essere uguale per tutti. Noi ci rivolgiamo a quel 30% della popolazione composta da persone con disabilità, persone con esigenze specifiche come quelle alimentari, persone anziane e genitori con bambini piccoli”.
Come si organizza un “viaggio inclusivo”?
“Chi utilizza la nostra piattaforma effettua l’iscrizione, crea il suo itinerario inserendo i punti di interesse e i filtri di accessibilità, come il budget, gli ausili che usa, i propri interessi e le attività che vuole fare, e lo condivide con la community. In questo modo anche altre persone possono creare il proprio itinerario a partire dall’esperienza di un altro utente, adattandola alle proprie esigenze. Personalizzare dettagliatamente un viaggio è facile se si conoscono gli strumenti che permettono di farlo. Bisogna dare alle persone la possibilità di scegliere, fornendogli informazioni. Una struttura può essere accessibile per un certo tipo di disabilità piuttosto che un’altra”.
Quali mete e destinazioni coprite?
“Adesso siamo in Piemonte e in Friuli Venezia-Giulia. Il nostro obiettivo è arrivare a coprire cinquanta itinerari in ogni regione italiana nel giro di due anni”.
Con chi state facendo rete?
“Lavoriamo sia con i Comuni, la Rete dei comuni sostenibili si sta facendo portavoce della nostra iniziativa, che con agenzie di viaggio e tour operator italiani, per la mappatura e la formazione. Nella nostra rete sono invitate a partecipare tutte le associazioni di categoria del territorio che già creano itinerari”.
Come si può rinnovare il discorso sull’accessibilità?
“Mettere al centro la persona con disabilità o con esigenze specifiche come cliente, come utente. Così gli si restituisce dignità e si invogliano le aziende a investire. Nonostante l’enorme barriera culturale, si sono fatti passi in avanti sia perché loro stesse sui social rivendicano il proprio spazio sia grazie ad attività come la nostra che cercano di far dialogare politica, associazionismo e imprese”.