Che si chiamino sostenibilità, ESG o tecnologia per il clima, non c’è dubbio che fare del bene mentre si guadagna sembra aver conquistato tanti piccoli e grandi investitori. Secondo Bloomberg, gli investimenti globali sostenibili sono cresciuti fino a 35,3 mila miliardi di dollari solo l’anno scorso. Questo vuol dire che circa un dollaro ogni tre a livello globale viene gestito cercando di trarre profitto dal “rendere il mondo un posto migliore”.
Mentre questi dollari affluiscono nel capitale di rischio (e cioè vengono investiti da ognuno di noi), il mondo cerca di risolvere alcuni dei più difficili problemi legati al clima: contenere l’aumento medio del riscaldamento del globo in dieci anni di 1,5 gradi centigradi.
Gli investitori sembrano avvertire l’urgenza: gli investimenti in tecnologia climatica sono cresciuti con un ritmo più rapido rispetto al venture capital complessivo tra il 2013 e il 2019. In ambito finanziario abbiamo a che fare con un nuovo termine, “impact investing”, che molte volte si lega a due acronimi: SRI (investimento socialmente responsabile) e ESG (ambiente, sociale e governance). In sostanza, questo “impatto nell’investimento” significa “rendere il mondo un posto migliore”. Ma c’è un problema con questo impact investing: come si dimostrano gli sforzi per rendere il mondo un posto migliore? Philip Morris produce 700 miliardi di sigarette all’anno, eppure investe tantissimo per raggiungere i suoi obiettivi ESG per attirare gli investitori.
Hans Taparia, Clinical Assistant Professor of Business and Society della Stern School of Business della New York University e insegnante di corsi di imprenditorialità sociale, impatto sociale e responsabilità professionale, spiega perfettamente tutto ciò: “Contrariamente a quanto pensano molti investitori, la maggior parte dei giudizi sulle aziende non ha nulla a che fare con l’effettiva responsabilità aziendale, in quanto si riferisce ai fattori ESG. Ciò che conta, invece, è il “grado di rischio” del valore economico di un’azienda a causa di fattori ESG. Ad esempio, un’azienda potrebbe essere una fonte significativa di emissioni ma ottenere comunque un punteggio ESG decente, se la società di rating ritiene che il comportamento inquinante sia gestito bene o non costituisca una minaccia per il valore finanziario dell’azienda… Ottieni ciò che misuri e normalmente la misurazione può essere grossolanamente fuorviante. Tuttavia, gli investitori al dettaglio acquisteranno quei fondi che cercheranno di evidenziare, con grandi operazioni di marketing e comunicazione, gli sforzi più evidenti per “gonfiare il fattore ESG”.
E nel mercato esistono, per l’appunto, molti “gestori di investimenti” che cercano di fare anche l’impossibile per generare i massimi valori di impatto nell’investimento.
Per dimostrare l’impatto, questi gestori adottano un quadro di misurazione standard, ma le sue misurazioni sono notoriamente difficili da applicare ed estremamente difficili da misurare. Oltre al fatto che, spesso, sono anche intrinsecamente soggettive, tanto che risultano più costose da misurare rispetto alle soluzioni per cercare di migliorarlo.
Inoltre, possono esserci molteplici fattori che generano un risultato positivo ed è spesso impossibile discernere cause ed effetti specifici per migliorare tali risultati.
PlayPumps, una giostra che avrebbe dovuto pompare acqua potabile e portarla a migliaia di comunità africane quanto più girava, sfruttando la forza impressa dai bambini che ci giocavano, ne è un ottimo esempio. Il numero di installazioni, la percentuale di bambini che utilizzano le PlayPumps o i litri di acqua pompata non hanno necessariamente dimostrato, al di là dei costi, se una comunità ha un migliore accesso all’acqua pulita grazie a questa tecnologia.
Non dimentichiamo inoltre che i gestori di fondi e i dirigenti aziendali devono, soprattutto, portare utili “a casa”…! Le misurazioni dell’impatto sono, quindi, in tutto il mondo vaghe e mancano veri standard. Ciò rende più difficile, per gli investitori, confrontare o capire il vero impatto sociale di un investimento o valutare le vere prestazioni di un’attività. E quindi quasi impossibile legare la vera “bontà” (o prestazione) di un fondo alle misurazioni dell’impatto.
Il vero impatto di azioni di questo tipo richiede tempo per concretizzarsi ed è, il più delle volte, al di fuori dell’influenza del fondo o della società. Nel mondo finanziario, che vive di risultati un trimestre dopo l’altro, massimizzare un fondo a qualsiasi costo, sembra essere l’unica vera unità di misura… Ma la vera e unica unità di misura per valutare l’impatto in un investimento, l’unica in cui gli incentivi tra manager e aziende sono allineati, le misurazioni specifiche non contano molto e l’orizzonte temporale è abbastanza lungo da fare davvero la differenza è il rischio, ovvero il problema reale, quello concreto da superare! Perché il rischio c’è dove ci sono i problemi. È necessario utilizzare il rischio come un indice di opportunità: maggiore è il rischio, maggiore è il problema e probabilmente maggiori sono le opportunità di mercato e il ritorno finanziario.
In un mondo già afflitto da moltissimi rischi (quasi tutti dovuti all’inquinamento), vorremmo tutti vivere in una realtà in cui le aziende fabbricano veicoli elettrici che costano il 20% in meno e possono andare più lontano del 40%, realtà in cui centri di ricerca riescono a sviluppare tecniche per curare e combattere il cancro, centrali che producono energia a consumi dimezzati… Non siamo, forse, tutti d’accordo sul fatto che il mondo sarebbe un posto decisamente migliore se anche solo una di queste realtà cominciasse ad avere successo?