L’“Illusione di trasparenza” si verifica quando una persona crede che le sue emozioni siano chiaramente e facilmente riconosciute dall’altro, il risultato è che la pretesa di esser perfettamente capiti può risultare una vana speranza. È una condizione che attanaglia l’essere umano da sempre, ovunque. L’argomento, in tempi moderni, è stato introdotto e sviluppato da uno studio dal titolo “The Illusion of Transparency: Biased Assessments of Others’Ability to Read One’s Emotional States” (L’illusione della trasparenza: valutazioni distorte della capacità degli altri di leggere i propri stati emotivi), pubblicato sul “Journal of Personality and Social Psychology” nel settembre 1998 e realizzato da Thomas Gilovich, Victoria Husted Medvec, Kenneth Savitsky.
L’illusione di trasparenza riguarda le emozioni e le aspettative del singolo; nel caso in cui l’attenzione si sposti su comportamenti, atteggiamenti ed elementi materiali, si utilizza la locuzione “effetto spotlight”. La valutazione che il singolo immagina provenire dall’altro è sempre sovra o sotto dimensionata; impossibile che ricalchi l’esatta realtà. Molto dipende dall’importanza che l’individuo dà alla propria persona, alla personale visione di sé che tende, erroneamente, a essere considerata coincidente con quella che nutre il prossimo.
È fondamentale il concetto di autostima, la considerazione che la persona si attribuisce e che risulta dai feedback ricevuti, nell’interazione sociale, attraverso l’ambiente e la cultura. Il fenomeno di distorsione si riscontra molte volte nel corso anche della stessa giornata; per questo, è importante saper comunicare in maniera corretta e non precipitare le situazioni in cui i propri sentimenti possano esser compresi in modo difforme da quello previsto. Nell’era degli algoritmi, va specificato come gli stati d’animo non siano tali né prevedibili al 100%. Le emozioni e i sentimenti vanno rilasciati in maniera più genuina possibile e, dall’interazione con l’altro, bisogna capire quanto siano stati compresi. Le espressioni facciali, i gesti, i tempi e il tono di voce possono svelare molto di ciò che prova il “mittente” ma il “destinatario” potrebbe non capirli integralmente. La comunicazione non verbale, non sempre risulta efficace.
Per risolvere questi dubbi, interviene il dialogo: è possibile chiarire l’ansia o la gioia che si provano e l’interlocutore può essere aiutato a capire. Nei rapporti familiari, quelli lavorativi e di natura sentimentale, l’incomprensione è dietro l’angolo e, spesso, la velocità delle informazioni, la fugacità degli sguardi, riducono la qualità della comunicazione. Per tale motivo, sorgono problemi in realtà inesistenti. Un’emozione e uno stato d’animo non hanno caratteristiche esteriori codificate e matematiche, per cui non è necessario pretendere la “certificazione” che l’altro abbia compreso perfettamente né chiudersi in silenzi o disappunto nel caso si siano verificate apparenti sottovalutazioni. Non è sempre facile, infatti, comprendere il prossimo, a causa di molteplici variabili e di complessi codici comunicativi.
San Giovanni Paolo II, ad Assisi, nel Discorso ai rappresentanti delle varie religioni del mondo del 24 gennaio 2002, esordì “Vogliamo recare il nostro contributo per allontanare le nubi del terrorismo, dell’odio, dei conflitti armati, nubi che in questi ultimi mesi si sono particolarmente addensate all’orizzonte dell’umanità. Per questo vogliamo ascoltarci gli uni gli altri: già questo – lo sentiamo – è un segno di pace. C’è già in questo una risposta agli inquietanti interrogativi che ci preoccupano. Già questo serve a diradare le nebbie del sospetto e dell’incomprensione. Le tenebre non si dissipano con le armi; le tenebre si allontanano accendendo fari di luce”.
Irene Bertucci, giornalista ed esperta in tecniche del giornalismo e comunicazione neurolinguistica, è l’autrice del volume, pubblicato da “HarperCollins Italia” nell’ottobre 2021, dal titolo “Non fraintendermi!” (sottotitolo “Fine dei qui pro quo in ufficio, a casa, con gli amici. Come comunicare senza pregiudizi e incomprensioni”). L’estratto è il seguente “Parlare non è comunicare. Conosciamo tutti le stesse parole eppure fraintendersi è più facile che comprendersi. Se si potesse indovinare a un primo sguardo il modo di ragionare dell’altro, sarebbe come avere a disposizione gli occhiali a raggi X della comunicazione. Ma l’interpretazione della realtà è mediata da filtri inconsci: le prime esperienze, le parole preferite, i valori, il tono di voce, le differenze cerebrali, l’atteggiamento del corpo, la costruzione della frase, rivelano di noi ben più che il semplice significato di quello che abbiamo detto. Le persone non sono una ‘tabula rasa’, sono mosse da condizionamenti di varia natura che noi possiamo portare alla luce. Perché è proprio l’incapacità di leggere questi meccanismi a provocare equivoci che rendono vane le relazioni”.
Il linguaggio è l’elemento principale per garantire una buona comprensione con il prossimo. A tal riguardo l’Istat, nel 2017, ha focalizzato l’argomento, al link https://www.istat.it/it/archivio/207961. Si legge “Nel 2015 si stima che il 45,9% della popolazione di sei anni e più (circa 26 milioni e 300mila individui) si esprima prevalentemente in italiano in famiglia e il 32,2% sia in italiano sia in dialetto. Soltanto il 14% (8 milioni 69mila persone) usa, invece, prevalentemente il dialetto. Ricorre a un’altra lingua il 6,9% (all’incirca 4 milioni di individui, nel 2006 erano circa 2 milioni 800mila individui). La diffusione di lingue diverse dall’italiano e dal dialetto in ambito familiare registra un aumento significativo, in particolar modo tra i 25-34enni (dal 3,7% del 2000, all’8,4% del 2006, al 12,1% del 2015)”.
È interessante valutare la reale padronanza della lingua. I risultati delle prove Invalsi del 2023, poco confortanti, sono stati resi noti nel luglio scorso (visibili al link https://invalsi-areaprove.cineca.it/docs/2023/Rilevazioni_Nazionali/Rapporto/Rapporto%20Prove%20INVALSI%202023.pdf). Considerando la lingua italiana, il rapporto consuntivo, relativo alla scuola primaria è il seguente “Complessivamente, similmente a quanto già emerso nella prova di II primaria, si nota un calo del risultato medio nazionale (-4,2 punti tra il 2019 e il 2023), in particolare negli ultimi due anni considerati, sebbene la prova somministrata subito dopo l’inizio della pandemia (nel 2021) sembrava non aver fatto emergere un effetto negativo a breve termine legato al lockdown e alla DaD”.
Per quanto riguarda la scuola secondaria di I grado i risultati sono “Complessivamente, si nota un calo del risultato medio nazionale (-3,4 punti tra il 2018 e il 2023), sebbene emerga una sostanziale stabilità dal 2021. Questo quadro può essere segnale del fatto che, dopo la caduta degli apprendimenti osservata dopo la pandemia (lockdown e DaD), non si è ancora riusciti a recuperare i divari accumulati”. Per la secondaria di II grado “Complessivamente, si nota un significativo calo del risultato medio nazionale da inizio pandemia (-8 punti tra il 2019 e il 2023)”.
Ora la comunicazione è in gran parte digitale ed emergono nuove problematiche poiché le informazioni veicolate a distanza, solo con messaggi o mail, possono facilmente essere fuorvianti. La fredda parola scritta nelle chat, nonostante il supporto delle “vitali” emoticon, impoverisce la comunicazione e favorisce il disguido. L’illusione di trasparenza si manifesta anche nelle occasioni in cui si debba parlare in pubblico, in cui si rimane condizionati poiché convinti che possa trasparire un maggiore o minore nervosismo.
Un’ulteriore considerazione: si vive nell’epoca della lamentela e della lagna, in cui se non si raggiunge il massimo del comfort e della comodità, si comincia a brontolare. Questo atteggiamento dell’“al lupo al lupo” può banalizzare e inflazionare le richieste di aiuto. L’ego deve essere posto decisamente da parte (non si è sempre la “star” del momento) e occorre una maggiore duttilità mentale e comportamentale, in cui si è più disposti a ricevere risposte impreviste, a incassare senza esasperare e predisporsi al chiarimento. L’interlocutore non deve essere posto alla prova per vedere quanto comprenda e giudicato, per questo, sensibile o non sensibile. Le persone non sono specchi né silenzi da interpretare e nulla va dato per scontato.
È consigliabile sempre un accenno di esame di coscienza e chiedersi, per primi, quanto si è in grado di comprendere. Il rischio è di giudicare come indifferente chi non riesce a comprendere le proprie sofferenze. L’altro non ha una “sfera magica” e il non capire immediatamente eventuali problemi (o intenderli parzialmente) non equivale a indifferenza; il prossimo va anche aiutato e messo in condizione di capire, aprendosi, senza filtri.
Prima di bollare e giudicare l’altro come insensibile al proprio disagio, occorre chiedersi e chiedere se la condizione problematica sia stata trasmessa. A volte, si formano espressioni e giudizi negativi un po’ troppo anticipati e, per questo, più vicini al pre-giudizio. Una visione pessimistica di se stessi e del prossimo, dei rapporti interpersonali, porta a ingigantire l’illusione della trasparenza. Il dolore di una persona può essere compreso da un’altra anche senza vistosi segni o parole, ciò non significa disinteresse ma solo un modo diverso, individuale e non omologato, di partecipazione. Alcune persone raggiungono il massimo grado di compassione, nel senso di totale adesione e sofferenza mutuata del disagio altrui, senza parole di facile compiacimento o plateali gesti bensì ponendosi a disposizione e mettendosi, di fatto, in silenzio, a servizio di chi ha bisogno.