A soli 15 anni, da solo, ha messo al mondo il fratellino Mamhoud, che adesso è sanissimo e ha 2 mesi e mezzo. La storia ha del miracoloso. È accaduto a Wael, che stava attraversando la Libia in un viaggio rischiosissimo con la mamma. Racconta che la mamma gridava: “Sto per morire!” e il giovane confessa: “Ho passato mezz’ora a piangere seduto in un angolo – dice il ragazzo con il viso ancora da bambino – Poi ho detto: mamma tu non morirai, ci sono qua io!!”. Così, da vero uomo si è alzato e ha assitito da solo al parto, tagliato il cordone con delle forbici che aveva e cucito con ago e filo di cotone. “Bravo collega!”, gli ha detto il medico della Mangiagalli quando ha sentito la sua storia. E lui, imbarazzato, ha riso per l’orgoglio e lo scampato pericolo. «Un buon lavoro», conferma la pediatra che ha visitato l’altro ieri il neonato a Milano.
Il lieto fine fa seguito ad una storia che lascia senza fiato, “Posso riempire un quaderno intero”, dichiara la mamma Hajar, 33 anni: dalla Siria al Libano, poi Sudan, Libia e infine l’imbarco verso l’Europa, un’odissea dei rifugiati come purtroppo sentiamo spesso, ma senza pensare a quanto sia complicato riuscire a mettere in salvo se stessi e la propria famiglia per un profugo. Tutto è iniziato 4 anni fa, a causa guerra civile che è ancora in corso, padre, madre e tre figli sono stati costretti a fuggire in Libano. Purtroppo il marito con i documenti palestinesi non può restare, ma il costo per arrivare in Europa è troppo elevato: 7000 dollari a testa. La famiglia decide allora di fuggire nel più economico Sudan, ma la mamma è incinta. “Insetti ovunque, si dorme a terra, non c’è nulla. Vado in ospedale e ho paura: non voglio partorire lì”, Hajar presa dal panico vorrebbe tornare in Siria dai genitori, ma il marito si oppone e decidono di dare fondo ai risparmi per far partire la donna e il figlio maggiore Wael verso nord, in modo da poter far nascere il nuovo bambino in Europa, come desidera la mamma.
Il viaggio inizia al settimo mese di gravidanza in condizioni estreme. Non c’è un mezzo fisso che li accompagna, a volte sono chiusi con gli animali, i trafficanti che guidano la carovana sono diversi, il più sgradevole è l’uomo che li conduce attraverso la Libia fin quasi alla costa. “Gli chiedo di affrettarsi, perché sto per partorire, lui mi zittisce”. Ma le doglie arrivano, non è possibile portarla in ospedale per questioni legali, non si trova una levatrice: è qui che il ragazzo prende coraggio e aiuta la mamma a partorire.
Mahmoud nasce sanissimo alle 7 del mattino, non è possibile fargli il bagnetto, rimane sporco finchè qualcuno non porta la sera un po’ di acqua e shampo, ma il neonato resiste con tutta la forza della vita nei suoi vestitini improvvisati con gli stracci. Ci vogliono altri due mesi in viaggio, prima di imbarcarsi per l’Italia, dove possono finalmente fermarsi. È a Milano che ora possono dormire sereni nelle stanze di Casa Suraya, gestita dalla Cooperativa Farsi Prossimo che li ha ospitati.