Mentre continuano le operazioni militari della Turchia nel nord-est della Siria, il governo di Ankara ha annunciato di aver consegnato alla Russia diciotto prigionieri che avrebbero militato nell'Esercito arabo siriano. Ad annunciarlo è stato il Ministero della Difesa di Ankara, che non ha reso nota l'identità degli ostaggi. Stando a quanto riferisce il quotidiano israeliano Haaretz, gli ostaggi sono stati catturati nei pressi della città di Ras al-Ayn, fulcro di conflitto delle operazioni militari turche attualmente in corso.
L'operazione russo-turca
Come ha indicato, qualche giorno fa, il ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, nell'area nord-orientale della Siria è in atto un'operazione militare che è “il risultato del coordinamento con le autorità della Federazione Russa“. Nel dettaglio, le due Nazioni stanno organizzando dei pattugliamenti nell'area, secondo quanto stabilito dall'accordo firmato a Sochi lo scorso 22 ottobre fra i presidenti russo e turco: l'intesa prevede che i combattenti curdi facenti parte delle Unità di protezione popolari (Ypg) si tengano a circa 30 chilometri di distanza dal confine turco.
Un debole “cessate il fuoco”
L'offensiva militare da parte di entrambi gli schieramenti, avvalorata dall'appoggio di Mosca, è la prova evidente che il cessate il fuoco mediato proprio da Russia e Stati Uniti è ormai superato. Nell'attesa della fine definitiva delle operazioni militari da parte di Washington, il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, aveva sottolineato come l'accordo costituisse solo una “pausa” dell'offensiva, non di certo un accordo definitivo. Nel frattempo, con l'acuirsi del conflitto, aumenta l'emergenza umanitario. L'Osservatorio siriano per i diritti umani ha denunciato l'escalation di violenze subito dopo l'esplosione di un'autobomba avvenuta mercoledì scorso ad Afrin. Come ha poi confermato l'agenzia di stampa statale siriana Sana, sarebbero almeno nove le persone morte e dieci i feriti coinvolti nell'esplosione scoppiata in un mercato ortofrutticolo. Al momento, gli accordi presi a livello internazionale, hanno solo “congelato”, in tempi relativamente brevi, una conflittualità che sembra non volersi estinguere.