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Il significato della missione di Giorgia Meloni alle Nazioni Unite

Giorgia Meloni torna a New York, al Palazzo di Vetro. Lo scorso anno fu una sorta di debutto in società, la Società delle Nazioni. E lei, che ha sostituito al concetto di Paese e a quello di Patria proprio quello di Nazione, l’altr’anno superò l’esame. Questa volta, addirittura, sarà premiata all’Atlantic Council, che non sarà autorevole quanto il Council on Foreign Relations che ospitava Ciampi o Napolitano, ma non è comunque cosa piccola. La premierà Elon Musk: considerando le prese di posizione sull’Ucraina di quest’ultimo, e la successione di pronunciamenti sulla stessa materia delle delegazioni italiane nei consessi internazionali (ultimo quello al Parlamento Europeo) verrebbe da dire che si tratta della proclamazione di un cambiamento di rotta.

In un settembre passato Meloni, in una telefonata per lei infausta (quella con due comici russi spacciatisi per diplomatici africani) ammise candidamente che iniziava a circolare in Occidente una certa stanchezza nei confronti di Kiev. La stanchezza era soprattutto quella della sua coalizione, ma queste sono sottigliezze. Oggi sulla questione – non da poco, da considerare con molta attenzione – dell’autorizzazione a Zelensky per l’uso delle armi europee in territorio russo l’Italia pare smarcarsi, oggettivamente più vicina a Orban che non a Bruxelles. La differenza tra allora e adesso la fa quella stanchezza, che si va trasformando in insofferenza. Non la sua personale, figurarsi, ma quella della sua coalizione per l’appunto e della base del suo stesso partito. Giorgia Meloni, in altre parole, si trova nella scomoda posizione di chi vorrebbe guardare al centro, ma ha troppe zavorre nelle tasche. Niente di nuovo: anche Alleanza Nazionale, quando Fini andò in Israele e definì il fascismo il male assoluto, ebbe a fronteggiare lo stesso fenomeno. In direzione politica l’allora leader della destra non ebbe un voto contro, poi però furono tutti molto felici, quando giunse il momento, di vederlo sparire insieme ai semicentristi di Futuro e Libertà.

Sullo scenario internazionale continuano a darle credito, comunque. Basti vedere le parole complimentose che le ha dedicato pochi giorni fa un giornale non esattamente di destra come il britannico The Guardian (quanto al consenso interno, i sondaggi continuano a esserle lusinghieri). Quindi navigazione tranquilla, anche sulle rotte verso New York. Saranno giornate di soddisfazione e ci permettiamo una sola raccomandazione, quella a non ignorare Biden per andare in pizzeria con Ginevra. Ma lei sa imparare dagli errori, quindi probabilmente questa volta si asterrà. Biden altrettanto probabilmente le ribadirà la sua fiducia, anche perché non ha nulla da perdere da un’Italia che finora, pur tra qualche sbandata, mantiene una sostanziale affidabilità. Fino a novembre.

Dopo le elezioni americane, tutto questo potrebbe infatti cambiare. Ma da qui a novembre corrono due mesi interi, ed in politica anche una sola settimana può essere l’eternità. Quindi non pensiamoci. Pensiamo, semmai, che continua il lungo, buon momento di Giorgia Meloni sulla scena internazionale. Basta che, all’Atlantic Council, Elon Musk non la metta in imbarazzo con le sue uscite sull’Ucraina, costringendola a schierarsi in qualche modo. Certi amici hanno il difetto di considerarti, sotto sotto, dei semplici strumenti. Il rischio di restare scottati può essere alto. E le orecchie dell’attuale amministrazione americana – e forse anche della prossima – sono molto attente, quando uno parla a New York.

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