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Don Ciotti e De Raho: “Non restiamo inerti davanti alle mafie”

Senso di responsabilità comune, legalità come tramite per la giustizia, coraggio di non voltarsi dall'altra parte: tre concetti semplici e chiari, ribaditi con forza dal Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, e da don Luigi Ciotti, entrambi intervenuti al terzo appuntamento di “Legalità e giustizia”, organizzato nella parrocchia Regina Pacis di Roma, nel Municipio X, quello di Ostia. Serate di dialogo, incentrato sulle mafie, sui retaggi della criminalità organizzata su un territorio prepotentemente salito alla ribalta delle cronache nazionali per offrire uno spaccato di vita quotidiana corroso dalla prepotenza e dalla sopraffazione. Ma, forse proprio per questa crescita latente, fatta di perpetui eccessi di violenza e sopruso impunito, la criminalità del litorale romano è rimasta circoscritta, poco conosciuta, tanto da arrivare a chiedersi se in questa “città nella città” la mafia sia davvero tale: “A Ostia – ha spiegato il procuratore De Raho – si utilizzano gli strumenti delle cosche in ascesa, che vogliono farsi consocere e che, per questo, ricorrono a sistemi come l'aggressione fisica, l'esercizio della paura. E questo accade anche in altri territori. Questa zona, fino a 50 anni fa, poteva essere considerata un'isola felice. Poi cosa è successo? Disattenzione e omertà, che è una forma di egoismo, hanno consentito alla criminalità di operare, di radicarsi e svilupparsi nel silenzio”.

Solidarietà e umiltà

Accettare tacitamente un atteggiamento di sopraffazione, restare in silenzio quando è l'altro a subire, chiudere gli occhi e divenire preda della paura: è molto di tutto questo a rendere fertile il terreno sul quale le mafie arrivano a impiantare le loro radici. E' anche per questo che, in molti territori, alcuni gruppi criminali ritengono “di poter spadroneggiare impunemente, di esercitare una sorta di sovranità”, forse consapevoli di aver instillato il morbo della paura nei cuori degli abitanti. Ma, spiega il procuratore, è in questo contesto che emergono gli elementi di contrasto, gli stessi previsti dalla legge di Dio: “Solidarietà e umiltà: contrastare le mafie è essere solidali e, a questa lotta, il cittadino deve necessariamente collaborare, contribuire a creare una cultura della legalità e aiutare così lo Stato” a sconfiggere la malattia della criminalità organizzata. Fare tutti qualcosa, nel nostro piccolo, nella nostra quotidianità, ognuno secondo le proprie forze: “Non tutti sono chiamati a ergersi a paladini della legalità. Importante è non restare inerti”. Il richiamo è chiaro: restare uniti per difendere quanto abbiamo di più prezioso, la nostra libertà.

Il contributo della comunità cristiana

Don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e di Libera, l'oscurità del silenzio e della violenza l'ha conosciuta e ha deciso, come il procuratore De Raho, di combatterla. A Ostia, dice ricordando Martin Luther King, “sono venuto a vedere le stelle”: saper vedere una luce nel buio, “avere l'obbligo di imparare a riconoscere le cose belle” che ci sono nelle nostre realtà, a combattere con coraggio e perseveranza per difenderle. L'invito di don Ciotti è a “non essere specialisti della perplessità”, a “estrarre una pietra della speranza dalla montagna della disperazione”, esercitando la nostra fede e a unirci in un coraggio vicendevole. “La forza delle mafie – ricorda – non sta al suo interno ma fuori: le forze criminali sono cambiate, hanno esercitato un progressivo allargamento in contesti più vasti, attraverso una spiccata vocazione imprenditoriale sfruttando competenze di altri soggetti”. La nota pastorale del 1991, “Educare alla legalità”, è stata per lui strumento di forza e incoraggiamento, anche per superare l'indignazione di chi affermava che occuparsi di temi come questo non fosse competenza della Chiesa: “Mi ha aiutato molto… Non possiamo stare a guardare. La comunità cristiana sensibile al bene comune è chiamata a offrire il proprio contributo alla crescita della legalità”.

Educare alla responsabilità

La nuova pelle delle mafie ha fatto sì che il loro percorso criminale arrivasse a insinuarsi in quella che don Ciotti chiama “l'area grigia: la mafia non è più al di fuori ma vi si è radicata”, agisce in quel limbo che separa la sfera legale da quella illegale, camminando su un filo di equilibrio che la rende forse meno appariscente ma ben più pericolosa. Necessario è “riscoprire l'educazione alla responsabilità”, coniugandola con un'altrettanto impellente “responsabilità di educare”, alzare la voce quando altri preferiscono “un prudente silenzio”, ricordando sempre che “l'omertà uccide, mentre è la verità l'unica speranza”. Un monito che richiama tutti, dal cittadino all'istituzione, per azzerare il linguaggio che fomenta la violenza e lasciare spazio a una cultura nuova, che faccia della verità il giusto antidoto all'approssimazione e al silenzio.

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