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Don Virginio Colmegna: la storia di un sacerdote che ha messo al centro gli ultimi

L'intervista di Interris.it al dott. Andrea Donegà, già segretario generale Fim Cisl Lombardia e attuale dirigente Enaip, sul suo libro biografico "Don Colmegna: al centro dei margini"

Don Virginio Colmegna è stato il protagonista di un periodo molto importante nella Chiesa e nella società italiana a partire dagli anni ’60 e ’70, con i loro veloci cambiamenti sociali ed economici. Il suo ministero sacerdotale ha saputo incidere sulle vicende italiane attraverso la storia della città di Milano, stando sempre al fianco degli ultimi degli ultimi, partendo dalle grandi migrazioni dal Sud Italia agli albori del cosiddetto “miracolo economico”, all’aiuto alle madri maltrattate, alle minoranze, fino a giungere ai giorni nostri dove, con la fondazione “Son”, agisce in prima persona per garantire l’inclusione delle persone con disabilità nella società. Interris.it, in merito alla sua storia e al suo operato, ha intervistato il dott. Andrea Donegà, già segretario generale Fim Cisl Lombardia e attuale direttore sedi Enaip di Lecco, Monticello Brianza e Morbegno e autore del libro biografico dal titolo “Don Colmegna: al centro dei margini”.

Don Virginio Colmegna (© Casa della Carità di Milano)

L’intervista

Dott. Donegà, recentemente ha scritto un libro che ripercorre la vita e le azioni di don Colmegna dal titolo “Don Colmegna: al centro dei margini”. Quali sono gli aspetti del suo ministero sacerdotale che l’hanno colpito maggiormente?

“Don Colmegna ha realizzato la sua vocazione tra i poveri e gli ultimi, stando sempre nei margini della società dove si avvertono prima i cambiamenti e i bisogni delle persone. Virginio è cresciuto in un piccolo appartamento in una casa di ringhiera a Saronno, con il bagno esterno in comune. La mamma era l’unica fonte di reddito della famiglia e, fin da piccolo, gli ha insegnato la dignità della povertà. Il padre invece era invalido quindi la povertà e la fragilità sono stati il filo conduttore della sua vita, sia dal punto di vista umano che sacerdotale. Don Colmegna ha cercato la sua vocazione e la sua felicità tra i poveri, restando sempre fedele al messaggio del Vangelo. Don Virginio è stato nel mezzo delle contraddizioni delle società, cercando di interpretarle e risolverle: i bisogni delle famiglie immigrate dal Sud, le scuole popolari alla Bovisa e le 150 ore, le lotte per la casa e per una scuola democratica e partecipata ispirandosi a don Milani, il movimento studentesco e operaio, la politica e il sindacato, la Caritas, le disuguaglianze e l’immigrazione, fino alla Casa della Carità e, ora, a SON. La povertà, per don Virginio, è dignità e sensibilità verso sé stessi, gli altri e il mondo, è la capacità, e la libertà, di non farsi possedere e per questo ne ha sempre sottolineato il valore pedagogico. Negli anni del cardinale Martini e di Papa Francesco, poi, la sua opera ha trovato ulteriore compimento”.

Il ministero sacerdotale di don Colmegna ha attraversato diverse epoche e ha visto mutare il concetto di povertà. Qual è stato, secondo lei, il suo tratto comune nella vicinanza agli ultimi?

“Il tratto comune è la sua capacità di condividere, sempre, le condizioni delle persone alle quali viveva accanto, condizione necessaria per capirne i bisogni, gli stati d’animo e le difficoltà da tradurre in azione. Una capacità che deriva, certamente, da una grande apertura all’incontro con l’altro e da una straordinaria visione. È sempre stato attento ai segni dei tempi riuscendo, anche, ad anticiparli, dando risposte concrete e innovative. Quando arriva a Sesto San Giovanni, a metà anni ’70, nel pieno delle riflessioni che avrebbero portato alla riforma Basaglia, e fonda la prima Cooperativa “Lotta contro l’emarginazione” alla Camera di Commercio non sapevano come registrarla. Dietro c’era la convinzione che le fragilità fossero una responsabilità collettiva e non in capo alla famiglia che finiva col viverla faticosamente avvertendo solitudine. Ecco, anche la forma della Cooperativa porta la statura di don Virginio che non vuole mai possedere nulla e ama che le decisioni vengano prese in modo collegiale. E, soprattutto, bisogna sempre partire dai bisogni delle persone, stando radicati nelle comunità e nel territorio.  Il gruppo di don Virginio era totalmente proiettato nell’impegno per l’altro e tutti si sentivano coinvolti e responsabili. Negli anni di Sesto San Giovanni, ad esempio, aprirono una Comunità per donne con figli minori e la chiamarono ‘Casa Vinci’ dal cognome di Domenico una persona con disabilità appassionata alla lotta per i diritti di tutti tanto da voler contribuire alla causa e il modo che trovò per farlo fu quello di mettere a disposizione il suo appartamento: un messaggio straordinario e bellissimo che ci dice che c’è sempre qualcuno di più fragile da aiutare e, quindi, è necessario e prezioso il contributo di tutti. Basta solo guardarsi intorno”.

Nel corso degli anni, tra le svariate attività al fianco degli ultimi, don Colmegna ha favorito l’abbattimento dei pregiudizi ed ha favorito l’integrazione di diverse fasce di popolazione, penso ad esempio alla comunità rom…

“Agli inizi dell’avventura come presidente di ‘Casa della Carità’ di Milano, realtà voluta da Martini, incontrò i bisogni dei Rom. Non tanto perché si scelse di dare loro rappresentanza ma perché la totale apertura all’altro li portò a incontrare i Rom che, in quegli anni, iniziavano a essere bersagli di pregiudizi, sgomberi e invocazione di ruspe. Anche lì la sua non fu una presa di posizione retorica ma bensì dettata da chi chiedeva che allo sgombero venisse anteposto un progetto di vita alternativo per queste persone che non potevano essere gettate come stracci senza nessuna alternativa. Il tutto mantenendo lucidità politica e progettuale e senza mai utilizzare la disperazione delle persone per altri fini: anche questo è un tratto distintivo dell’azione e del pensiero di Colmegna. Nell’ambito dell’integrazione dei rom nella società, ad esempio, arrivò a istituire dei patti che dovevano sottoscrivere e che prevedevano l’impegno a lavorare, a mandare i figli a scuola, a pulire i campi dove vivevano. In ‘cambio’ le persone venivano inserite in progetti inclusivi dove potessero essere protagonisti e di inserimento abitativo nella città. Lui era sempre lì a spiegare alla popolazione e al vicinato il progetto, il senso e le prospettive con la convinzione che la relazione può sciogliere i pregiudizi e favorire l’incontro vero, riconoscendosi come persone con un volto, nome e una storia, favorendo percorsi di crescita collettiva”.

L’impegno per l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità è stato un tratto molto importante nel ministero di don Colmegna. Cosa ci può dire a riguardo?

“A quel tempo, la legge per il collocamento mirato delle persone con disabilità non era quella che abbiamo ora. Era una legge precaria, incerta e troppo spesso inefficace. Don Colmegna e il suo gruppo arrivavano persino a organizzare cortei fino all’interno degli uffici dei capi del personale rivendicando le assunzioni dei più fragili. Lo chiedeva organizzando cortei che arrivavano nei luoghi di lavoro e ai capi del personale, chiedendo l’assunzione di queste persone. Questa lunga marcia portò alla legge sul collocamento dei disabili, la 68 del 1999, che conosciamo ora: non è un caso se i relatori della legge siano stati il compianto Carlo Stelluti e Antonio Pizzinato, sindacalisti rispettivamente di Cisl e Cgil, che condivisero un tratto di strada con don Colmegna. Insomma, sono stati anche precursori del collocamento mirato capendo, molto prima di altri, che disabili e fragili attraverso il lavoro potevano realizzarsi, costruire la loro autonomia, alleggerire le famiglie e inserirsi a pieno titolo nella società. Lavoro, casa e relazioni sono i determinanti della salute delle persone e lo si era capito, chiaramente, negli anni della riforma Basaglia che Virginio respirò a pieni polmoni”.

I proventi raccolti dal libro finanzieranno le attività della Fondazione Son – “Speranza Oltre Noi”, l’ultima creatura associativa di Don Colmegna che si occuperà del “Dopo di Noi” per le persone con disabilità? Che importanza riveste per lui questo tema? Attraverso quali azioni lo sta attuando? In che modo, chi lo desidera, può aiutare la vostra opera?

“La Fondazione Son – Speranza Oltre Noi, si occupa del ‘Dopo di Noi’ in una chiave rivoluzionaria, come del resto lo è anche don Colmegna, partendo dal ‘Durante Noi’, cioè quando i genitori dei figli fragili sono ancora in vita. Una persona della sua età che è ancora capace di pensare al futuro è sinonimo di una grande amore per le persone. ‘Son’, in inglese, significa anche figlio ed è la proiezione dell’avvenire e del guardare avanti. ‘Oltre’ è la capacità di pensare il futuro, senza possedere mai nulla. La struttura dove sorge ‘Son’ era una vecchia cascina ristrutturata per ricavare una foresteria per l’ospitalità e alcuni nuclei abitativi. Tre di questi hanno un bilocale attiguo, collegato ma separato, perché il figlio possa vivere autonomamente sapendo, però, di avere accanto i genitori. Un accompagnamento all’autonomia all’interno del quartiere. Insomma, tutto torna: la fragilità è una responsabilità collettiva all’interno di un ambiente che possa sopravvivere ai genitori, rassicurati nel sapere che i loro figli non finiranno, un domani, in istituto, ma potranno vivere serenamente in un contesto in cui nessuno è oggetto di cura ma tutti si prendono cura di tutti. La Politica, quella con la ‘p’ maiuscola, secondo don Colmegna, non è quella che ci fa schierare da una parte o dall’altra, ma è quella che ci interroga sul futuro delle persone, dell’ambiente e del benessere di tutti. Un percorso possibile solo partendo dagli ultimi. ‘Son’ sarà l’epicentro di una nuova società e di un modo inedito di immaginare il futuro”.

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