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Ramonda (Apg23): “Ecco quale eredità ci ha lasciato don Oreste Benzi”

L'intervista a Giovanni Paolo Ramonda in occasione dell'anniversario della morte del Servo di Dio, don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII

“Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: è morto. In realtà è una bugia. Sono morto per chi mi vede, per chi sta lì. Le mie mani saranno fredde, il mio occhio non potrà più vedere, ma in realtà la morte non esiste perché appena chiudo gli occhi a questa terra mi apro all’infinito di Dio. Noi lo vedremo, come ci dice Paolo, faccia a faccia, così come Egli è. E si attuerà quella parola che la Sapienza dice al capitolo 3: Dio ha creato l’uomo immortale, per l’immortalità, secondo la sua natura l’ha creato. Dentro di noi, quindi, c’è già l’immortalità, per cui la morte non è altro che lo sbocciare per sempre della mia identità, del mio essere con Dio. La morte è il momento dell’abbraccio col Padre, atteso intensamente nel cuore di ogni uomo, nel cuore di ogni creatura”. Sono le parole con cui don Oreste Benzi commentava la prima lettura del 2 novembre 2007 nel “Pane Quotidiano“, un libricino su cui lui scriveva da anni per accompagnare tutti i giorni la giornata della Comunità Papa Giovanni XXIII – e non solo – in Italia e nel mondo. Parole che aveva scritto per la giornata in cui la Chiesa celebra la commemorazione di tutti i defunti e, proprio in quel giorno, lui ha lasciato la vita terrena per salire in cielo.

La vita di don Oreste

Don Oreste Benzi nasce settimo di 9 figli di una povera famiglia di operai il 7 settembre 1925 a San Clemente, in un paesino nell’entroterra collinare romagnolo nella provincia di Forlì. In seconda elementare, all’età di 7 anni, dopo aver ascoltato la sua maestra Olga Baldani parlare della figura del sacerdote, decide in cuor suo di farsi prete.

Don Oreste bambino – Foto ©Semprenews

All’età di 12 anni entra in seminario a Rimini grazie al lavoro straordinario che la madre si era sobbarcata per mantenerlo. Viene ordinato sacerdote nel 1949, anno in cui viene nominato cappellano della parrocchia di San Nicolò a Rimini. In quegli anni inizia la sua attività di insegnamento nel seminario di Rimini, di cui diverrà in seguito Direttore Spirituale per i giovani nella fascia di età dai 12 ai 17 anni. Attraverso tale compito, che mantenne fino al 1969, ha potuto approfondire più intensamente la conoscenza dell’animo giovanile e maturare la convinzione della necessità di essere presenti negli anni dello sviluppo in cui si formano i valori della persona. Per questo la sua vita sarà presto caratterizzata da attività protese ai giovani che diventeranno poi centrali nei suoi impegni.

L’incontro “simpatico” con Gesù che propone ai giovani

Viene poi nominato vice assistente della Gioventù Cattolica e per molti anni terrà la cattedra di professore nelle scuole pubbliche di Rimini. Quest’ultima esperienza gli ha permesso di apportare numerosi miglioramenti sul piano metodologico, relativi all’insegnamento di religione nella scuola superiore, attraverso la partecipazione dei giovani nell’impegno verso i più poveri. Sono questi gli anni in cui Don Oreste, determinato nel coinvolgere i giovani in attività che favoriscono un “incontro simpatico con Cristo” – in quanto troppo spesso trascinati in incontri decisivi per la loro formazione con tutto ad eccezione di Cristo – recluta giovani volenterosi che si prestano a fare vacanza animando i soggiorni montani per gli adolescenti in difficoltà e con handicap.

Il 12 aprile 1958 fonda la Associazione per l’educazione della gioventù bisognosa” per dare veste giuridica a tutta l’attività avviata tra i giovani. Dopo diverse esperienze coinvolgenti di soggiorni estivi in montagna, detti “campeggi”, con l’autorizzazione del vescovo mons. Emilio Biancheri, il 14 agosto parte per gli Stati Uniti assieme ad un seminarista, Filippo Di Grazia, in cerca di fondi per costruire una casa-vacanze ad Alba di Canazei (TN), convinto che il paesaggio stupendo delle Dolomiti possa favorire negli adolescenti e nei giovani l’incontro con l’infinito di Dio. Nel novembre dello stesso anno riparte per un secondo viaggio, accompagnato questa volta da un sacerdote, don Sisto Ceccarini. Riesce a raccogliere i soldi sufficienti per dare avvio alla costruzione della casa sul terreno acquistato e, con la Provvidenza e tanta follia, si giunge all’inaugurazione della Casa Madonna delle Vette nel 1961.

14 settembre 1968 – Primo “campeggio spastici” a “Madonna delle Vette” ad Alba di Canazei (Fondazione don Oreste Benzi)

Il primo campeggio a Canazei

Don Oreste incontra quelli che la società dell’epoca definiva in modo dispregiativo “spastici”. Siamo nel 1968: lancia la proposta ai suoi giovani di fare un campeggio con persone con handicap gravi, emarginate e nascoste alla vista della gente. in settembre parte il primo “campeggio spastici” a Madonna delle Vette, ad Alba di Canazei. A dirigerlo c’è don Elio Piccari (intervistato da Interris.it il 31 ottobre 2017) insegnante di religione delle scuole differenziali, con il motto: “Dove siamo noi, li anche loro”.

Don Oreste Benzi e don Elio Piccari

La fondazione della Comunità Papa Giovanni XXIII

È da quella prima esperienza di condivisione che si fa risalire la nascita della Comunità Papa Giovanni XXIII. In quell’anno, infatti, alla presenza del Vescovo Biancheri, si svolge la prima due giorni comunitaria in cui si approvano le linee fondative e tre anni dopo, il 13 luglio 1971, si costituisce formalmente la Associazione per la Formazione Religiosa degli Adolescenti Papa Giovanni XXIII. Don Oreste viene eletto Presidente. Resterà Responsabile Generale fino alla sua morte.

Agosto 1979 – Messa in spiaggia durante campeggi al mare a Rimini (Fondazione don Oreste Benzi)

Le opere del sacerdote dalla tonaca lisa

L’infaticabile apostolo della carità“, così lo ha definito il Papa Emerito Benedetto XVI in un telegramma all’Apg23 dove esprimeva le sue condoglianze per la morte di don Oreste, si impegna nel “dare una famiglia a chi non l’ha“: è così che il 3 luglio 1973 si aprono le porte della prima casa famiglia dell’associazione: Casa Betania (a Coriano in provincia di Rimini). Di fronte al dramma della droga tra i giovani, rispondendo ad una diretta richiesta del vescovo di Rimini, mons. Giovanni Locatelli, apre a Igea Marina (RN) la prima delle comunità di recupero per tossicodipendenti che negli anni successivi si moltiplicheranno in particolare in Emilia Romagna. Il 24 maggio 1986 viene inaugurata a Ndola (in Zambia) la “Holy Family Home for Children”. È la prima casa famiglia in terra di missione. Da allora si moltiplicano i suoi viaggi all’estero, dall’Africa all’America Latina sino a raggiungere tutti e cinque i continenti.

La lotta contro la prostituzione schiavizzata e l’aborto

Don Oreste, fra i primi in Italia, inizia il suo impegno per liberare le donne vittime di tratta e costrette alla prostituzione. Il 26 marzo 1999 inizia la preghiera per la vita davanti alla clinica “Villa Assunta” di Rimini, come arma nonviolenta scelta per combattere una delle ingiustizie più terribili: il dramma dell’aborto.

Don Oreste insieme a una ragazza salvata dalla prostituzione schiavizzata da Papa Giovanni Paolo II

Il Servizio Antisette occulte e la Comunità educante con i carcerati

Nel 2002 avvia avvia il Servizio Antisette occulte, per liberare le moltissime persone – soprattutto adolescenti e donne – adescate nel mondo dell’occulto e delle psicosette. Nel 2004 dà vita alla prima “Comunità educante con i carcerati“: una struttura di condivisione che dà la possibilità ai detenuti di scontare la pena in maniera alternativa e soprattutto di perseguire la “certezza del recupero”.

L’intervista a Giovanni Paolo Ramonda

Quest’anno ricorre il quindicesimo anniversario della morte del prete dalla “tonaca lisa”. Interris.it ha intervistato il responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, Giovanni Paolo Ramonda.

Il 2 novembre 2007 moriva don Oreste Benzi. Cosa manca più di lui?

“Certamente si sente la sua mancanza fisica, quella di un uomo di Dio, sacerdote che ha voluto tanto bene al Signore, ma anche a Gesù presente nei poveri, ha amato quest’umanità sofferente. La sua assenza si fa sentire. Penso che però che siamo compensanti dalla sua eredità”.

Quale eredità ha lasciato?

“Ci ha lasciato una comunità di vita, inserita nella storia, nel mondo. Una comunità che dà una famiglia a chi non ce l’ha, che offre opportunità di riscatto, che sfama e permette a tanti bambini di andare a scuola. Oltre a ciò, ci ha lasciato in eredità anche i suoi scritti dove possiamo leggere il suo pensiero, in particolar modo questo accade nel ‘Pane Quotidiano’. Chi ha conosciuto don Oreste lo ritrova lì. Il suo cuore, la sua essenza, è racchiusa in quei commenti alle letture e al Vangelo del giorno. Inoltre sappiamo che nella fede lui è vivo”.

Parlando dei commenti del Pane Quotidiano, mi stupisce come le parole di don Oreste siano attuali ancora oggi, nonostante siano stati scritti in tempi passati. Come è possibile questo? 

“Questo è possibile perché era sempre in ascolto di Dio. Lui diceva ‘non c’è nessuno di più impegnato a questo mondo di chi è immerso nella parola di Dio’. Quando ti avvicini al Signore, vivi nel tempo ma sei già in un eterno presente di terre e cieli nuovi. Quello che lui ha meditato è valido ancora oggi. Don Oreste ha vissuto le cose di questo mondo, ma attualizzandole alla luce delle parole di Dio”.

Per don Oreste, dichiarato Servo di Dio, è in corso il processo di beatificazione. A che punto è la sua causa?

“La fase diocesana è stata conclusa riconoscendo le sue virtù eroiche del suo vivere il Vangelo. Tutto il materiale di studio, le interviste e i dati raccolti sono stati portati a Roma, dove viene approfondito. Nel caso che per sua intercessione vengano riconosciuti uno o due miracoli, potrebbe diventare beato, come la beata Sandra Sabattini o santo. Ancora non abbiamo notizie da Roma, ma pensiamo che alcuni santi sono stati riconosciuti tali o beati dopo centinaia di anni. L’evento di Sandra, è stato eccezionale”.

Don Oreste diceva: “Quando mi dicono che io sono il fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, io rispondo che ho paura di essere l’affondatore“. E aggiungeva che i veri fondatori dell’Apg23 sono “i poveri che gridano verso il Signore”. Cosa voleva dire?

“Lui ha fatto in pieno la sua parte, avendo il coraggio di compiere anche scelte profetiche, controcorrente. Aveva la coscienza di chi è figlio di Dio che sa di essere creatura e ripeteva spesso che a guidare la comunità era lo Spirito Santo e i proprietari non siamo noi, ma i poveri. Questa era la sua grande rivoluzione”.

Si può spiegare meglio?

“Certo. Per don Oreste i poveri non erano più destinatari solo di assistenza, ma protagonisti della storia. Chi vive in loro deve diventare servo, camminare con loro mettendosi al servizio”.

Il Servo di Dio don Oreste si è impegnato in tante battaglie per rimuovere le cause che portano allo sfruttamento della prostituzione, alla tossicodipendenza, all’emarginazione dei disabili. Secondo lei, cosa direbbe ai giovani di oggi?

“Direbbe di essere innamorati e entusiasti della vita, di camminare insieme ad altri giovani, di conoscere meglio la Chiesa, di studiare e diventare competenti per poi andare nelle periferie del mondo a portare la notizia di Dio. Soprattutto, direbbe di vivere con gioia”.

Lei, dopo la morte di don Oreste Benzi, è stato eletto nuovo responsabile generale dell’Apg23. Ha sentito il peso di questo ruolo? 

“Certamente. Don Oreste era un cavallo di razza, io no. Dalla sua morte l’Apg23 ha raddoppiato la sua presenza nel mondo: siamo presenti in 45 Paesi. Io, prendendo lui come esempio, ho capito che dovevo fare la mia parte, con umiltà, responsabilità, consapevolezza dei miei limiti, ma anche con tanta fiducia che il Signore non ci avrebbe mai abbandonato”.

E oggi, cosa direbbe don Oreste ai membri dell’Apg23?

“Vivete come la povera gente nell’essenzialità, non tenete nulla di più di ciò che vi serve. Condividete, oltre che alla vita anche i beni, siate sempre al fianco dei più poveri, state sempre in mezzo alla gente, mantenete il dialogo con le istituzioni, sempre obbedienti alla Chiesa che è nostra madre, riconoscenti per la vocazione che il Signore ci ha donato. Credo don Oreste ci direbbe questo”.

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