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Primo reparto per disabili con il Covid. 1 su 3 rischia l’ictus

Disabilità e coronavirus: a Montecatone (Imola) una struttura specializzata per accogliere e riabilitare pazienti provenienti da tutta Italia

Uno su tre, a causa del Covid-19, può avere complicanze neurologiche come l’ictus. Difficile immaginare una situazione più angosciosa e diffcile di quella di un disabile contagiato dal coronavirus. Ricoveri, terapie, assistenza diventano immediatamente un nuovo calvario che si aggiunge a quello ordinario. Di centri attrezzati per la condizione di estremo disagio determinata nella disabilità dal Covid-19 finora non ne esistevano in Italia. Per questo in Emilia Romagna è stato allestito un reparto messo a disposizione delle esigenze dell’intero territorio nazionale.

Chi va seguito sempre

Il coronavirus è come una seconda croce messa sulle spalle dei disabili. E non finisce con l’urgenza. “Terminata la fase acuta del Covid– spiega Carlotte Kiekens, direttore dell’Unità Spinale del Montecatone Rehabilitation Institute di Montecatone (Imola)- i pazienti con una forma grave di coronavirus hanno necessità di attività riabilitative importanti causate da problemi respiratori, allettamento e immobilizzazione prolungati. Le problematiche più rilevanti di cui abbiamo contezza riguardano la funzionalità respiratoria, l’indebolimento fisico e muscolare, i deficit cognitivi, difficoltà nella deglutizione, ansia e depressione”. Il Montecatone Rehabilitation Institute, ospedale di alta specialità per la riabilitazione intensiva delle persone colpite da lesioni midollari o affette da lesioni cerebrali acquisite fa parte del sistema sanitario della Regione Emilia-Romagna. Qui ha sede l’unità spinale più grande in Italia e la presenza di uan decina di pazienti che sono risultati positivi in corso di ricovero, ha imposto la creazione di un reparto Covid-19.

Gestione della fase acuta

In questo reparto viene gestita la fase acuta, fino all’eventuale trasferimento per il trattamento semintensivo-intensivo presso le degenze Covid dell’ospedale di Imola, con cui è in atto una intensa collaborazione, nonché la presa in carico riabilitativa e l’adeguata assistenza clinica per le degenze post-acute. Ora il reparto per disabili positivi al Covid-19 di Montecatone apre le porte anche a pazienti provenienti da altri ospedali. L’istituto, che fa parte del servizio sanitario regionale dell’Emilia-Romagna e dove ha sede la più grande unità Spinale in Italia, ha perfezionato un protocollo grazie al quale è possibile accogliere da tutta Italia pazienti mielolesi o cerebrolesi post Covid19, ma ancora positivi, con complicanze. Garantire la continuità riabilitativa ai pazienti Covid19 affetti da disabilità non è certamente semplice ed infatti, in numerose strutture sanitarie del Paese, per ragioni comprensibili, ciò risulta difficilmente praticabile.

Ictus per un paziente su 3

Spiega Carlotte Kiekens: “Condizioni di partenza sfavorevoli a causa di una lesione al cervello o al midollo spinale espongono a un maggior tasso di limiti funzionali dopo il contagio. La riabilitazione mira a ridurre le complicanze e ad incrementare le funzionalità migliorando complessivamente il quadro clinico dei pazienti che hanno sofferto di Covid-19“. Il reparto, organizzato in pazienti acuti e post-acuti sulla base del singolo quadro clinico con una compartimentazione del personale medico e di assistenza infermieristica e di riabilitazione, ha anche una palestra dedicata. Interventi e trattamenti sono definiti da una équipe multiprofessionale. Gli interventi sono finalizzati alla riabilitazione respiratoria e all’esercizio fisico come parte integrante della fisioterapia respiratoria. I trattamenti riguardano la prevenzione delle complicanze da immobilità, a eliminare l’aumento del distress respiratorio e al recupero del tono muscolare. Restano esclusi i pazienti in fase critica per i quali sia necessaria la ventilazione meccanica o stato di choc.

In convenzione

L’équipe multiprofessionale è composta da medici (fisiatri e internisti), personale infermieristico, fisioterapisti, terapisti occupazionali, logopedisti, psicologi e un nutrizionista. Il lavoro di questo team è affiancato da consulenti esterni in convenzione con l’Ausl Imola-Azienda Ospedaliera Sant’Orsola di Bologna, che provvedono a un medico pneumologo consulente, disponibile a briefing e valutazioni al bisogno dei singoli casi, un medico infettivologo consulente, medico psichiatra e altri consulenti  (cardiologo interno, urologo, eccetera). Le consulenze possono essere svolte in presenza o attraverso strumenti informatici e teleconferenza. Per i pazienti che si recano all’ospedale di Imola per trasferimento o per effettuare indagini diagnostiche sono garantite le modalità di trasporto in sicurezza sia del paziente sia degli operatori. Per il trasferimento da altri ospedali sono attive le modalità consuete per i ricoveri ordinari, con l’aggiunta di una scheda triage, per la ricognizione delle necessità cliniche, sintomatologia e dello stato sierologico o tampone, che verrà valutata dai oesponsabili delle diverse unità Ooerative e avallata dal responsabile Covid di Montecatone. Accanto agli aspetti clinico-assistenzialistici, la sicurezza è prioritaria: ogni trattamento avviene in singola stanza di degenza; il monitoraggio del personale è effettuato tramite tampone nasofaringeo ed avviene periodicamente.

La testimonianza

Il tema della disabilità al tempo della pandemia è un rosario di storie dolorose. Ogni grano di questo rosario è una stazione di una Via Crucis collettiva. Rita Rossetti vive in una delle province (Ancona) nelle quali i focolai di Covid-19 sono esplosi principalmente all’interno delle strutture di accoglienza e di assistenza. “Nessuno studia soluzioni adeguate alle conseguenze devastanti del lockdown sulle disabilità complesse e intellettive- spiega Rita Rosetti-. Le disposizioni del governo non tengono conto che mantenere le distanze quando ci si prende cura di persone non autosufficienti o con ridotte autonomie è praticamente impossibile”. Una situazione tragica interamente scaricata sulle famiglie dei disabili, lasciate senza i centri diurni e senza una guida e senza servizi alternativi adeguati. “Ogni regione si regola a modo suo, in assenza di un’indicazione del governo sulla chiusura o l’apertura dei centri diurni per persone con disabilità e per anziani- sottolinea la mamma del 37enne Giorgio, ragazzo con una grave disabilità intellettiva-. Io e mio marito abbiamo sentito altre famiglie nella nostra condizione in altre zone d’Italia. La mancanza di uniformità sul territorio nazionale e l’instabilità decisionale lasciano in un limbo angosciante condizioni di vita già complesse, dolorose e difficili da gestire”.

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