“A motivo della costante sollecitudine per la concordanza tra i Codici, mi sono reso conto di alcuni punti non in perfetta armonia tra le norme del Codice di Diritto Canonico e quelle del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali”. E’ l’incipit della lettera, in forma di Motu Proprio, denominata “De concordia inter Codices” (L’armonia tra i Codici), con la quale Papa Francesco “unisce” i le norme del Diritto Canonico latino e orientale. “I due Codici possiedono, da una parte, norme comuni, e, dall’altra, peculiarità proprie, che li rendono vicendevolmente autonomi. È tuttavia necessario che anche nelle norme peculiari vi sia sufficiente concordanza. Infatti – prosegue il documento – le discrepanze inciderebbero negativamente sulla prassi pastorale, specialmente nei casi in cui devono essere regolati rapporti tra soggetti appartenenti rispettivamente alla Chiesa latina e a una Chiesa orientale”.
La lettera, datata 31 maggio 2016, ma resa nota solo oggi dall’Osservatore Romano, ha l’obiettivo di dare “certezza” su come definire a quale Chiesa appartengano i battezzati e come avvengono i passaggi dalla Chiesa cattolica latina a quelle cosiddette “sui iuris”. E’ una modifica che in molti ritengono necessaria fin dai tempi in cui vennero redatti e promulgati i due Codici (riformati da Giovanni Paolo II e pubblicati a cavallo tra gli anni ’80 e ’90). Inoltre, lo scopo è quello di “preservare l’unità della Chiesa”, rispettando la peculiarità delle Chiese orientali inserite nell’ambito cattolico. Una vera necessità, dunque, viste le recenti migrazioni di massa che, implicitamente, fanno registrare molti più fedeli di rito orientale nelle chiese di rito latino.
Come spiega l’Osservatore Romano, è bastato fare alcune modifiche al Codice di Diritto Canonico per sciogliere quei “dubbi” che si erano posti lo scorso secolo i canonisti e che hanno trovato risposta dopo anni di studio. Questioni riguardanti i rapporti tra i due riti, ad esempio, visto che non ci sono nel Codice latino articoli che parlano dei rapporti con gli altri fedeli cattolici di rito diverso.
Il segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, mons. Arrieta, ha spiegato che “per quanto riguarda il Battesimo, l’unica novità è che si segue il rito della parte cattolica. Se viene un bambino di un protestante e un maronita, si considera della Chiesa del genitore cattolico. E qualora due ortodossi non trovino un loro ministro per celebrare il battesimo, lo possono chiedere ad un prete cattolico, e poi viene rilasciato un certificato che sono battezzati. Prima non si diceva nulla: mentre il codice orientale prevedeva che il prete orientale poteva battezzare questi, sembrò che il prete cattolico non lo poteva fare”. Si è poi cercato di specificare il modus operandi del passaggio da un rito ad un altro. Per questo si è inserito un nuovo canone, il 112 par. 3, nel quale si “esige che, salvo dispensa specifica, venga fatto in questi casi un atto formale di passaggio davanti all’autorità competente”. Inoltre, questo cambiamento deve essere inserito nei registri di battesimo.
Altra questione quella del matrimonio. Nel Codice delle Chiese Orientali si richiede la benedizione delle unioni da parte del sacerdote perché questo sia valido, mentre in quello latino anche un diacono può “benedire” l’unione. Il problema si è risolto definendo che “solo il sacerdote assiste validamente al matrimonio tra le parti orientali o tra una parte latina e una parte orientale cattolico o non cattolica”. Non solo. Nel Codex latino, una formulazione poco chiara di alcuni articoli faceva pensare che un parroco non potesse assistere al sacramento nuziale di due fedeli di rito orientale, mentre il codice orientale era più chiaro. Per tanto, anche nel Codice latino è stato adottato quello orientale. Ciò significa “che se due ortodossi vogliono sposarsi in una chiesa cattolica, perché non hanno altre possibilità di trovare il loro rito, prima non si poteva fare, ma ora sì – spiega Arrieta -: il sacerdote deve chiedere il permesso all’ordinario del luogo, e sarà il vescovo poi a regolare la questione con la controparte orientale”.
Inoltre, assieme al motu proprio, è stato reso noto anche un documento del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi circa le irregolarità per ricevere l’Ordine Sacro previste nel canone 1041. In pratica: se una persona vuole ricevere l’ordinazione sacerdotale ma si è macchiata di alcuni comportamenti riprovevoli, non può essere ordinata senza la dispensa dell’autorità. Secondo Arrieta, questa norma “serve a preservare la purezza dell’ordine sacro”. I casi di irregolarità si riferiscono a chi avesse commesso omicidio, o aborto, o avesse mutilato gravemente se stesso o un altro, o tentato il suicidio. Per questi casi, la questione era la seguente: le irregolarità riguardano il solo fatto di aver compiuto il gesto e/o se si è incorsi in questi “delitti”. Arrieta ha commentato: “In quest’ultimo caso, risulterebbero esonerati, e non sarebbero incorsi in irregolarità, quanti avessero realizzato colpevolmente le condotte censurate senza, però, cadere in reati canonici”.