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Dignità oltre le sbarre: ecumenismo solidale in Kenya

“Anche in prigione è possibile incontrare il Signore” dice il neo vescovo di Embu, per 20 anni cappellano delle carceri

Collaborazione tra le diversi fedi religiose al servizio della dignità dei detenuti. Monsignor Peter Kimani Ndung’u è appena stato consacrato vescovo di Embu. Per 20 anni è stato cappellano nazionale delle carceri keniane. “Nel sistema carcerario c’è molto rispetto per le diverse fedi religiose- spiega il neo presule-. Vi sono rappresentate le quattro principali fedi del Kenya. Ci sono imam musulmani che si prendono cura dei prigionieri di fede islamica; diversi pastori di comunità protestanti che si prendono cura dei loro fedeli; i cappellani cattolici e più di recente vi sono rappresentanti degli Avventisti del settimo giorno. Tutti questi lavorano a stretto contatto tra loro nel rispetto reciproco delle rispettive fedi a favore di tutti i carcerati. Ci prendiamo cura non solo dei prigionieri ma anche del personale che lavora nelle carceri, a iniziare dai poliziotti penitenziari, perché facciamo parte tutti della stessa famiglia“.

dignità
Foto di Luis Morera su Unsplash

Dignità al centro

“Ho iniziato il mio servizio nelle carceri nel gennaio 2001- racconta il vescovo all’agenzia missionaria vaticana Fides-. In tutto questo tempo ho potuto vedere i cambiamenti in termini di riforma del sistema carcerario, delle condizioni di vita dei detenuti (cibo, cure mediche, igiene, possibilità di studiare, libertà di culto ecc.) e di trasformazione del personale. Si tratta di trasformazioni positive, di un miglioramento generale delle condizioni di vita dei detenuti. Fino al 2000 le prigioni keniane erano quasi delle camere della morte. Prima ogni carcerato erano considerato semplicemente un condannato che doveva scontare la sua pena“. Prosegue l’esponente dell’episcopato del Kenya: “Adesso invece le prigioni sono diventate dei centri di riabilitazione per chi ha commesso dei crimini. All’interno delle carceri sono state create apposite strutture per aiutare la riabilitazione dei detenuti, con programmi di consulenza psicologica e di formazione professionale. Naturalmente i cappellani delle carceri sono coinvolti e prendono parte attiva a questo processo, attraverso l’evangelizzazione, introducendo i detenuti che lo desiderano alla fede e ai movimenti laicali. Sono presenti e attive nelle carceri realtà come l’associazione degli uomini cattolici, quella dei giovani cattolici oltre a diversi catechisti. Vi sono inoltre 25 cappellani cattolici che operano a tempo pieno nelle prigioni”

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