Falcone disse “La mafia è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine…”, e questa sua frase ha una valenza storica, fa intendere che il fenomeno va visto nel lungo periodo. Non dimentichiamo che la mafia ce l’abbiamo dal 1600 in Italia, e a mano a mano si è radicata sempre più. Con le forme attuali, la possiamo far partire dalla fine del 1800. Ma sarebbe sbagliato interpretare le parole di Falcone come se delineassero un viaggio lineare, perché la lotta alla criminalità non ha una direzione univoca, una linea diretta verso un punto; fa dei passi avanti, ma anche dei passi indietro.
Forse questo è un momento storico nel quale siamo tornati indietro di qualche anno. Il periodo più efficace di contrasto alla mafia è stato certamente quello della fine Anni 90, poi c’è stato un arretramento.
Il dato del Censis per il quale il 52% degli italiani non vede più la mafia come un pericolo va analizzato. Sono abbastanza ottimista di carattere, ma su questo fronte vedo solo una diversa modalità di azione della criminalità in questi ultimi 20 anni; essendo meno visibile ha meno impatto sull’opinione pubblica, per ci può essere una sottovalutazione di chi non è addetto ai lavori.
Chi invece è ogni giorno in prima linea sa che oggi la mafia esiste ma si muove principalmente in forme non visibili, e cioè: corruzione, riciclaggio, contraffazione (che non è avvertita affatto come un crimine nemmeno dai cittadini), la prostituzione (che altro non è che la faccia visibile del business che sta dietro e cioè la tratta di esseri umani). Per cui diciamo che la mafia si è inabissata, pertanto viene meno avvertita come un problema dalla gente che peraltro, oggi, ha il problema della crisi economica come prioritario rispetto a qualunque altra problematica.
Quanto a quel 23 maggio di Capaci, l’emozione è ancora fortissima, una sensazione stringente. Era il periodo in cui un pool di magistrati si riuniva dandosi appuntamento un po’ in tutta Italia per organizzarsi nella lotta alla mafia… E vedere cosa successe fu traumatizzante. Situazioni che poi ho vissuto in parte nel ’93 nei vari attentati di Firenze, Milano, Roma come sostituto procuratore antimafia.
Sono passati molti anni da quel periodo, eppure a livello di cultura della legalità siamo ancora deboli. Purtroppo il malaffare è talmente diffuso che la legalità fa fatica a fare capolino. Io ritengo che ci voglia molto lavoro nelle scuole, fatto da personale qualificato; quando i ragazzi vengono stimolati nel verso giusto rispondono, dunque c’è una grande speranza nelle nuove generazioni.
Ciò che manca, al solito, è la consapevolezza da parte dei politici della gravità del fenomeno, per cui troppo spesso si cerca di minimizzare, non si affrontano i problemi come andrebbero approcciati dal punto di vista legislativo. E poi teniamo presente che abbiamo un Codice di procedura penale che nella parte dibattimentale funziona molto poco.