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Pandemia e Cooperazione, il futuro in ambito montano dopo la pandemia

In Terris ha parlato del tema della Cooperazione in ambito montano con il Dottor Massimo Bevilacqua, direttore di un Consorzio di Cooperative Sociali operante in provincia di Sondrio

La Giornata Internazionale della Cooperazione è appena trascorsa ed, in merito a questo argomento fondamentale, In Terris ha avuto il piacere di analizzare un esempio proveniente da un contesto morfologico interamente montano, la provincia di Sondrio, con le parole e gli esempi portati dal Dottor Massimo Bevilacqua che dal 1997 lavora nell’ambito della cooperazione sociale, dal 2017 è direttore del consorzio di cooperative sociali Sol.Co Sondrio realtà che aggrega 14 imprese cooperative sociali del territorio provinciale. Dal 2020 è consigliere di Confcooperative dell’Adda, che unisce le provincie di Sondrio e di Lecco. Nei vari progetti attivi sul fronte del contrasto alle povertà – in particolare all’interno dell’esperienza del progetto di Welfare comunitario +++ Segni Positivi, avviato grazie al contributo di Fondazione CariploSol.Co Sondrio collabora con la Caritas Diocesana di Como e con le Caritas parrocchiali del territorio della Valtellina.

La Giornata internazionale della Cooperazione è appena trascorsa, che significato ha per Lei?

“La Giornata Internazionale della Cooperazione ha un significato importante per me. Penso a quanto questa parola mi ha accompagnato in questi quasi 25 anni di lavoro nel settore. Penso a quando ci siamo incontrati per la prima volta, mentre studiavo diritto e legislazione al corso per educatore professionale, al mio primo lavoro in cooperativa (scelto tra più opzioni perché più intrigante), ai cooperatori sociali con cui ho percorso tratti di strada e con cui lavoro oggi, penso a tutto ciò di intensamente quotidiano e reale contiene questa parola. La Cooperazione, oggi più che mai, è una sfida difficile, a tratti estremamente faticosa, ma comunque avvincente e generativa. Una sfida che richiede un atteggiamento culturale, una disposizione al “fare con”, che non sempre, a causa delle nostre fragilità e dei nostri limiti, è semplice da mettere in campo. La Cooperazione richiede presenza, ascolto, decisionalità, disponibilità a fare spazio “a chi non la pensa come te”, creatività, disponibilità a trovare delle sintesi che spesso richiedono rinunce a favore di qualcosa di più grande. Stiamo però attraversando un tempo nuovo, un tempo in cui, citando Papa Francesco, cresce la consapevolezza in cui “da soli non si va da nessuna parte”. La Cooperazione richiede fiducia nelle proprie e nelle potenzialità altrui. Richiede capacità di fidarsi ed affidarsi all’altro, specialmente quando servono soluzioni a problematiche complesse come quelle legate al mondo del welfare di oggi. Tutto questo è la Cooperazione nella mia esperienza quotidiana, umana e professionale. La giornata internazionale della Cooperazione mi riporta ogni anno in questo luogo, denso di significati e valori, mi ricorda che siamo “anime cooperanti”, mi ricorda quando l’essere cooperatore ha cambiato il mio modo di affrontare la vita”.

Quali nuove povertà e fragilità ha evidenziato la pandemia da Covid-19 e quale ruolo può avere la Cooperazione nella risoluzione delle stesse?

“La pandemia è stato un fenomeno travolgente, un terremoto che ha smosso e amplificato le fragilità di persone, famiglie, gruppi, organizzazioni del territorio. L’effetto evidente che abbiamo percepito e osservato è stato l’affiorare in superficie delle molte “vulnerabilità” esistenti nella comunità. Per anni, e tuttora, lavoriamo come consorzio su progettualità rivolte al contrasto delle povertà e delle fragilità di persone e famiglie nel contesto della nostra provincia montana, un contesto in cui queste problematiche sono spesso tenute nascoste, per aspetto quali la vergogna, la tendenza all’isolamento e la disabitudine a chiedere aiuto. In montagna esiste una diffusa tendenza alla “privatizzazione delle fragilità”, nonostante l’ottimo lavoro svolto dai servizi sociali. In un brevissimo spazio temporale, quello del primo lock down in particolare, tutte queste vulnerabilità sono emerse molto limpidamente in superficie, e i numeri delle richieste d’aiuto sono cresciuti esponenzialmente. Abbiamo riscontrato l’amplificarsi di condizioni di povertà materiale da parte delle famiglie del territorio, legate all’accesso ai beni alimentari e di prima necessità, ma anche un amplificarsi quelle che sono le povertà cosiddette relazionali ed educative, fenomeni che hanno colpito anziani, persone sole, adulti fragili, minori, adolescenti e le loro famiglie. La popolazione che prima viveva in condizioni di temporanea fragilità si è ritrovata scivolare ancora più in basso, mentre chi già era in condizioni di povertà conclamata si è ritrovato in una condizione maggiormente aggravata. All’interno di questa situazione, nel crescere continuo delle domande di aiuto e di sostegno, anche in un contesto montano come il nostro, si sono straordinariamente rivelate e attivate le energie comunitarie. Centinaia sono state le azioni messe in campo da organizzazioni, gruppi, singoli cittadini che hanno scelto di fare il proprio dovere a sostegno di chi si è trovato in questa condizione di svantaggio. Gli esempi e le esperienze in questo senso sono tantissimi, grandi e piccoli, visibili e invisibili, e meriterebbero di essere tutte raccontate, nella cornice di quella straordinaria “tensione e disposizione al dono” che ha nutrito il nostro territorio di tanta solidarietà”.

Quali sono le peculiarità e le difficoltà correlate dell’azione della Cooperazione in ambito montano?

“La Cooperazione in ambito montano si trova ad affrontare sfide intrinseche legate alle specificità del contesto: bassa densità abitativa, mobilità difficile, spopolamento dei piccoli paesi (specialmente in media e alta montagna), invecchiamento della popolazione, abbandoni e ritorni delle energie giovani, frammentazione e “personificazione” delle organizzazioni. Il terzo settore in generale è una realtà molto vivace, molto attiva in iniziative di vario genere, soffre però, a mio avviso, di alcune fatiche dovute semplicemente ad una mancanza di esperienza e di pratica di cooperazione. Paradossalmente esistono molte imprese cooperative (credo – se non erro – che siamo la provincia in Lombardia con il maggior numero di Cooperative rapportata alla popolazione), ma dall’altra la cooperazione come modalità di lavoro, come pratica di sviluppo per il territorio (in ambito sociale e non), non ha ancora espresso a mio avviso tutte le sue potenzialità. In ambito sociale mi sembra importante citare il lavoro che stiamo mettendo in campo come Terzo settore locale nelle sue organizzazioni di secondo livello (Consorzio Sol.Co Sondrio, Confcooperative dell’Adda, Centro Servizi al Volontariato Sondrio-Lecco-Monza Brianza) con gli Enti pubblici impegnati in ambito sociale, sanitario, educativo. Interessante, sempre nell’ottica del welfare comunitario, la collaborazione con alcune aziende locali molto sensibili al tema della responsabilità sociale di impresa. Negli ultimi anni gli scambi e conseguentemente le azioni e le progettualità si sono molto intensificati, la pandemia anche in questo caso, ha contribuito ad accelerare straordinariamente questi processi collaborativi e cooperativi, generando anche alleanze prima poco immaginabili. C’è ancora molto da fare, soprattutto pensando alle nuove problematiche in ambito sociale che la pandemia sta facendo emergere. Il futuro si fa incontro quotidianamente e l’attitudine, a mio avviso, deve essere quella di affrontare le nuove sfide con un approccio attento alla cooperazione come “pratica per generare un atteggiamento proattivo che faciliti il cambiamento”.

Quali auspici e quali speranze nutre per il futuro?

“Direi di continuare così, in cammino, sul sentiero sopra descritto. Servono lucidità di sguardo, capacità di apertura e convivenza con il pensiero divergente, disposizione alla costruzione di sintesi e soluzioni condivise, voglia di guardare e comprendere i problemi da più prospettive e punti di vista. Essere consapevoli di tutto questo, come persone e organizzazioni, è la base per poter ridisegnare il futuro. Ci attende un futuro carico di grandi potenzialità e denso di cambiamenti, e l’ambito del welfare locale è un terreno aperto, un luogo di sperimentazione e scambio, un “laboratorio di fiducia reciproca” che il post pandemia ci chiede di costruire. L’analisi e la ridefinizione di un welfare in ambito montano è una delle nostre priorità di lavoro, ad aprile 2020 avevamo, insieme a molte organizzazioni del territorio, proposto un seminario nazionale proprio su questo tema. Il seminario, che riproporremo in futuro, ha questo titolo “Welfare di montagna? Un’opportunità per generare benessere ed economie di luogo”. Rispetto a questa tematica, anche a fronte di alcune esperienze emblematiche attive nel nostro contesto territoriale, crediamo fortemente che il welfare di montagna, oltre che un sistema di offerta di risposte e servizi per le problematiche sociali, può divenire una leva di sviluppo territoriale, anche economico. Il tutto passa da un necessario processo di ri-costruzione e ri-significazione che parta da un intenso e costante dialogo con le comunità locali”. Concludo con una frase di un cantautore, Niccolò Fabi, che ammiro molto e che mi accompagna in questi sentieri da percorrere:

«Ma tra la partenza e il traguardo,

nel mezzo c’è tutto il resto

e tutto il resto è giorno dopo giorno

e giorno dopo giorno è

silenziosamente costruire

e costruire è potere e sapere

rinunciare alla perfezione»

da «Costruire»

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