La “teoria del consumo ostentativo”, enunciata dal sociologo statunitense Thorstein Bunde Veblen nel 1899, si concretizza, anche oggi, nell’acquisto di beni e servizi di lusso per esibire il proprio status elevato. Il consumo, quindi, in tali casi non è più razionale, rivolto al soddisfacimento dei propri bisogni, all’utilità (come sosteneva l’economista scozzese Adam Smith), quanto al rafforzare, sempre più, il proprio prestigio e rendere chiari i rapporti di potere.
Si parla di “beni di Veblen” per evidenziare quelli che sono maggiormente ambìti in quanto più costosi, secondo una tendenza contraria alle leggi economiche della domanda e dell’offerta. Sono comprati per accrescere il proprio status sociale.
Tale atteggiamento è comune ai popoli di tutti i tempi; la stessa teoria di Veblen, enunciata nel volume “The theory of the leisure class” (La teoria della classe agiata) è apparsa da tempo, in piena rivoluzione industriale, con l’affermazione dei grandi capitalisti e dell’alta borghesia; a questa, si frapponeva, tenuta ben distinta, la classe operaia alle prese con le prime rivendicazioni sociali ed economiche.
Gli inglesi utilizzano la locuzione originale “conspicuous consumption” o un’altra, molto efficace poiché sottolinea l’aspetto gerarchico: “positional consumption” (consumo posizionale).
Il consumo ostentativo non nasce da un’esigenza materiale di possedere un bene quanto dall’immagine che lo stesso gli conferisce, in termini di visibilità. Il lusso si certifica non solo con i beni materiali ma, soprattutto nell’era moderna, anche con i servizi, ricorrendo a quelli più esclusivi, di moda ed elitari.
Nell’udienza del 22 settembre 2021, Papa Francesco sottolineò: “Nel continente europeo, la presenza di Dio viene annacquata – lo vediamo tutti i giorni – nel consumismo e nei vapori di un pensiero unico – una cosa strana ma reale – frutto del miscuglio di vecchie e nuove ideologie. Questo ci allontana nella familiarità con il Signore, la risposta che risana viene dalla preghiera, dalla testimonianza, dall’amore umile”.
Tra i volumi che trattano l’argomento, vi è “Sociologia dei consumi”, scritto dal professor Vanni Codeluppi, pubblicato da Carocci Editore nel settembre del 2022. L’autore analizza storia, caratteristiche, limiti del consumismo e, nella conclusione “Mostra come i comportamenti di consumo siano influenzati dalla famiglia, dai gruppi sociali, dagli stili di vita e dalla cultura di appartenenza”.
interiorissimi.it, rivista di cultura internazionale, indica molti dati riguardanti il mercato attuale. Fra questi “Vi sono gli oggetti personali di lusso, come borse e abbigliamento (un mercato che ha raggiunto i 353 miliardi di dollari nel 2022, secondo Bain), i veicoli di lusso (con un valore di 566 miliardi di dollari nel 2022), l’ospitalità (191 miliardi), i ristoranti (57 miliardi) e il settore del vino (57 miliardi). […] Il mondo del lusso si dipana in un doppio scenario: quello del lusso accessibile e quello del lusso esclusivo. […] Da un lato, c’è il richiamo magnetico delle creazioni pregiate, dei brand di fama mondiale e dei beni di straordinaria raffinatezza, mentre dall’altro lato emergono prodotti più accessibili, destinati a una fascia di consumatori che desidera immergersi nel mondo del lusso senza dover attraversare le barriere finanziarie più elevate. Il lusso accessibile è un concetto in crescita. […] Dopo una brusca contrazione nei primi mesi dei lockdown, il settore ha avviato una ripresa che, per la sua rapidità e intensità, ha superato anche le previsioni più ottimistiche. […] La ripresa è iniziata nel mezzo del 2020 e da allora si è rafforzata costantemente. I gruppi francesi, come sempre, rappresentano il punto di riferimento di questa tendenza generale. […] L’intero settore del lusso ha raggiunto un fatturato complessivo di 1.150 miliardi di euro nel 2021. Inoltre, ha superato nuovamente le aspettative nel 2022, mostrando una crescita aggiuntiva compresa tra il 19% e il 21%, come riferito in un rapporto redatto dalla società di consulenza Bain”.
Per contro, si può manifestare, da parte della persona comune, la necessità (e dipendenza) del cosiddetto “consumo emulativo”, pur di illudersi di imitare la vita agiata dei ricchi, a rischio anche di compromettere la propria situazione economica. Ecco allora, il trionfo del consumismo e del materialismo, ben spalleggiato dai media. In particolare, nei social, si sviluppa una nuova forma di ostentazione, attraverso la pubblicazione di fotografie e video in cui si sfoggiano vacanze fantastiche, pasti in ristoranti di prestigio e, soprattutto, una perenne e inalterabile felicità.
Coloro che emulano, che diventano i nuovi ricchi o ci si avvicinano, mostrano la stessa superbia di chi è nato e vive nel lusso; nell’opinione comune, tuttavia, i primi (gli allievi) superano i maestri, proprio per il loro improvviso successo economico che fa dimenticare le umili origini. Spesso sono tacciati di aver giudicato e condannato i milionari ma, nei fatti, di esser pronti, appena possibile, a eguagliargli o, addirittura, scavalcarli.
Il mondo virtuale del web è fittizio proprio nella sua natura, per cui ciò che si mostra, attraverso degli schermi, è tendenzialmente esagerato. Per questo motivo, la maggioranza degli utenti dei social tende a proporsi felice, bella, piena di iniziative, di vita sociale e mondana, di sapienza, in grado di spendere soldi e, in conclusione, in un tripudio narcisistico, senza svelarlo apertamente, di suscitare invidia. La società del consumo, dell’effimero e della felicità a tutti i costi, impone tale atteggiamento; questa prospettiva, fra l’altro, non contribuisce ad alimentare l’autostima, anzi confonde poiché fondata sul niente, sul vacuo.
I like ricevuti suffragano e approvano tale felicità mostrata. A cosa serve il prossimo per chi è “vittima” del consumo ostentativo? A essere impressionato, come il pubblico di un cinema, in cui procede la trama di un film. L’obiettivo è, infatti, di sbigottire l’altro, pur mistificando. Il messaggio che si vuol diffondere e certificare è quello, in sostanza, di essere “realizzati” in tutto. L’individuo contemporaneo è proiettato verso esperienze veloci ed eterogenee, a non rinunciare, a non essere tagliato fuori dal mondo (soprattutto quello che conta), a riempire i propri spazi consumando beni e servizi.
La forbice sociale è sempre più aperta, polarizzando gli estremi, tra diffusa povertà e lusso esclusivo e riservato a pochi; nel mezzo vi è il ceto medio che gradualmente scivola giù. Tale sproporzione costringe coloro che vogliono scimmiottare i ricchi a performance di livello, non solo spacciate con astuzia sul web ma vissute con elevato rischio.
La competizione è sempre più frenetica e veloce, si utilizzano tutti i mezzi e si mercificano esigenze, valori e bisogni.
Il presupposto alla base di questa necessità, costante, di esibire e vantare, è quello di “distinguersi da”, “elevarsi rispetto a” e di porre barriere nei confronti dell’altro; nel cercare di spingersi sempre più in alto e far precipitare il prossimo verso il basso.
In un trionfo del puro egoismo, l’obiettivo è di marcare le distanze, innanzitutto dal punto di vista economico e sociale. La divisione sociale che ne scaturisce, punta, quindi, sugli ingredienti peggiori: difficile scardinare tale concezione alterata dei valori, nociva sia per se stessi sia per l’altro.