Il Piano Nazionale di Ripresa e resilienza prevede per il Servizio Civile un investimento triennale (2021-2023) di 650 milioni di euro sullo sviluppo personale e professionale dei giovani di età compresa tra i 18 e i 28 anni che, attraverso l’impegno in progetti di servizio civile, maturano competenze per l’apprendimento permanente. Sicuramente un investimento importante, anche se è necessaria la stabilizzazione dei fondi, per rendere realmente universale questo istituto repubblicano e permettere di farlo a tutti i giovani che ne fanno richiesta.
E ancora, il suo collocamento nella missione 5 del PNRR, e in particolare nella componente “Politiche per il lavoro”, sicuramente riconosce uno degli effetti positivi che l’esperienza di servizio civile ha sui giovani, in termini di acquisizione di competenze sociali e civiche che hanno importanti ricadute anche nei contesti lavorativi, ma sembra non cogliere appieno proprio la finalità di difesa civile che lo caratterizza e l’impatto che ha avuto e continua ad avere nei territori in termini di rafforzamento della coesione sociale e della resilienza.
Proprio questi giorni si stanno concludendo le selezioni dei candidati ai progetti di servizio civile universale che hanno partecipato al bando del 21 dicembre 2020. Circa 125.000 domande per 55.793 posizioni disponibili. Numeri che confermano l’interesse dei giovani per questa esperienza di impegno civico, solidarietà e crescita personale. Interesse che non si è affievolito con la pandemia, la quale, al contrario, forse ha risvegliato il desiderio di molti di attivarsi per fare qualcosa per le proprie comunità, dare il proprio contributo, per uscire dall’immobilità a cui la pandemia ha costretto molti nell’ultimo anno.
Durante l’emergenza, circa 32.000 sono stati gli operatori volontari che hanno continuato a prestare il loro servizio e a contribuire alla difesa civile non armata e nonviolenta della Patria, finalità prevista dalla legge 106 del 2016, ribadita dall’Art. 2 del Decreto Legislativo n. 40/2017. L’emergenza ha reso evidente questa dimensione che da sempre, fin dalla nascita dell’obiezione di coscienza al servizio militare, ha caratterizzato il servizio civile, ma a cui quest’anno così particolare ha dato tanta evidenza.
Ma in che modo i giovani hanno potuto e possono contribuire alla difesa della Patria? Promuovendo la sicurezza umana, ovvero la cura e la protezione in particolare delle persone più fragili, tra quelle più colpite non solo dalla pandemia ma anche dalle misure di contenimento della stessa, come il distanziamento sociale e la sospensione di molti servizi in presenza.
Contribuendo alla realizzazione di attività che promuovono i diritti umani, che tutelano il bene comune, il patrimonio ambientale, che hanno cercato di favorire l’accesso alla cultura ecc. Tanti sono i modi, ma con una finalità condivisa: costruire la pace, la coesione sociale, diventare moltiplicatori di solidarietà per le nostre comunità, in modo nonviolento.
Ricordiamo anche i volontari che hanno svolto o stanno ancora svolgendo servizio civile all’estero, nonostante le preoccupazioni legate alla situazione pandemia e la necessità di seguire protocolli di sicurezza molto stringenti.
Su cosa si fondano questi interventi? Su un sentimento di appartenenza a una comunità umana più ampia che supera i confini delle nostre zone confort, un sentimento di fratellanza umana, bene espresso da Papa Francesco nell’Enciclica “Fratelli Tutti”, ma che ha le sue radici nella stessa Costituzione.
Crediamo che la vera sfida sia cogliere questa dimensione e credere realmente che i giovani sono protagonisti assieme agli enti della costruzione di una società capace di valorizzare le differenze e fondata sulla solidarietà umana.