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Feliciangeli (Caritas): “La situazione a Gaza è catastrofica”

L'intervista di Interris.it al dott. Danilo Feliciangeli, referente di Caritas italiana per il Medioriente, in merito alla situazione a Gaza

Il conflitto israelo-palestinese, innescato il 7 ottobre scorso dall’attacco terroristico di Hamas alla popolazione israeliana, si sta ampliando in misura sempre maggiore, provocando grandi sofferenze nonchè distruzioni umane e materiali alla popolazione civile coinvolta ed estendendosi a macchia d’olio nei paesi confinanti. La guerra pertanto, sta provocando un’escalation di violenza crescente in tutta la regione, con episodi bellici e terroristici in Siria, Iran e nel Golfo di Aden. Interris.it, in merito all’attuale situazione nell’area e alla condizione umanitaria della popolazione civile, ha intervistato il dott. Danilo Feliciangeli, referente di Caritas italiana per il Medioriente.

Italo-israeliani dispersi
Foto di Mohammed Ibrahim su Unsplash

L’intervista

Dott. Feliciangeli, il conflitto tra Israele e Hamas sta raggiungendo una dimensione sempre più grande. Qual è la situazione ad oggi?

“La situazione a Gaza è veramente catastrofica. Nella storia recente non ci sono state altre situazioni con un numero così elevato di vittime e sofferenze in poco più di tre mesi di combattimenti. Non ci sono parole per descriverla, il livello di distruzione e di morte è elevatissimo. Ci sono state più di 25 mila vittime di cui, almeno il 70%, sono donne e bambini e quindi civili. Al tempo stesso, i morti israeliani in battaglia, non sono solamente le vittime del terribile attentato dello scorso 7 ottobre ma, anche il numero dei soldati che stanno perdendo la vita, inizia ad essere elevato. La distruzione è ovunque, a Gaza gli ospedali funzionanti rimasti sono due. Manca qualsiasi genere di prima necessità, dalle medicine all’acqua potabile. Nella Striscia nessun luogo è sicuro e la morte giunge in ogni momento. Dall’inizio del conflitto, sono deceduti più di 120 operatori umanitari delle Nazioni Unite e molte altre vittime, tra cui due operatori di Caritas Gerusalemme. Molti giornalisti sono rimasti uccisi sul campo ma, forse, in alcuni casi, anche per attacchi mirati. È una situazione incredibile, non ci sono altre parole per descrivere le sofferenze che si stanno vivendo. Ciò sta causando diverse conseguenze, non solamente dentro Gaza per le più di due milioni di persone che vi abitano, ma anche nei territori palestinesi occupati, dove continuano a salire gli scontri e le vittime tra i coloni israeliani e la popolazione locale palestinese. La situazione è drammatica anche all’interno di Israele, soprattutto per i molti che desiderano la pace e vorrebbero una soluzione per il dramma degli ostaggi che si sta protraendo da quasi quattro mesi. Tutto ciò è psicologicamente devastante, anche in considerazione dell’allargamento del conflitto”.

Come si sta connotando l’operato di Caritas sul campo?

“Caritas, fin da subito, è riuscita ad essere attiva perché, la nostra presenza a Gaza si protrae da decenni e, a partire da 2014, in maniera più consistente attraverso una clinica di primo soccorso, diagnostica e assistenza sanitaria ambulatoriale che, purtroppo, non è riuscita ad essere operativa perché si trova a Gaza City nella zona oggetto degli attacchi israeliani; pertanto, è stata chiusa e anche danneggiata. Circa un centinaio di operatori di Caritas Siria però, hanno continuato ad offrire assistenza, soprattutto nei due centri di accoglienza allestite presso le due parrocchie cristiane li presenti, ovvero quella di San Porfirio, cristiano – ortodossa e quella della Sacra Famiglia cattolica. Qui venivano ospitate circa un migliaio di rifugiati e, da subito, abbiamo dato assistenza a queste persone, sia sotto il profilo medico che con la distribuzione di generi di prima necessità, che siamo riusciti a procurarci dai fornitori esterni che durante il periodo della tregua nel mese di dicembre, e attraverso la distribuzione di voucher per l’acquisto di determinati beni. Il massimo dell’operatività c’è stato durante i giorni di tregua poco prima di Natale e, nel periodo restante, è stato tutto molto più difficile. Attualmente, il programma previsto per l’intervento umanitario è finito ma, nei primi giorni di gennaio 2024, ne è partito un altro, con un’accezione più ampia, che riguarderà l’assistenza ad oltre 23 mila persone. In particolare, è prevista un’assistenza sanitaria di base per settemila pazienti, sia a Gaza che nei territori palestinesi occupati, attraverso una clinica che Caritas ha nel villaggio di Taibe. Forniremo poi un supporto per la salute mentale in quanto, non ci sono solo moltissimi bisogni per la salute fisica ma, tutta la popolazione, in particolare a Gaza, ha subito dei traumi psicologici enormi. Tutti hanno perso delle persone care, le proprie case e rischiano la vita in ogni istante. Inoltre, daremo un’assistenza economica per l’acquisto di voucher da destinare ai beni di prima necessità per 2750 famiglie. Il piano prevede anche la ristrutturazione della nostra clinica a Gaza che non ha subito gravi danni strutturali, però molti macchinari sono stati danneggiati e gli infissi distrutti e, di conseguenza, serve un lavoro di riequipaggiamento per poter essere operativi, nella speranza che, quanto prima, una tregua o un cessate il fuoco definitivo”.

Qual è l’auspicio di Caritas per il raggiungimento della pace in quest’area del pianeta?

“Prima di tutto, sarebbe fondamentale ripristinare il percorso civile, di conquista e rispetto dei diritti umani anche durante il conflitto. Pertanto, gli attacchi verso i civili, gli ospedali e le chiese devono cessare e l’assistenza umanitaria ai civili deve essere permessa. Un cessate il fuoco o una tregua sarebbero il minimo che possiamo auspicare. Proprio in questi giorni sembra che, qualche possibilità in tal senso, ci sia, serve però una tregua di qualche mese per poter rispondere ai bisogni umanitari di base. È importante ribadire che, il diritto internazionale, va rispettato anche in caso di conflitto e i civili devono essere protetti. Un loro coinvolgimento così elevato non è accettabile, sia per gli orribili attacchi terroristici del sette ottobre che per tutto ciò che si è susseguito dopo nella Striscia di Gaza. Il dialogo deve essere riniziato, è indispensabile riaprire i tavoli diplomatici per arrivare a una soluzione che, per molti, potrebbe essere quella di due popoli in due stati. È importante però, lo ribadisco, iniziare un dialogo al livello di governance e istituzioni, per generare un cambiamento nella mentalità di tutti. In questo momento la pace deve essere una priorità per tutti e, ognuno, può fare qualcosa nel suo piccolo per cercare di perseguirla”.

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