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Marco Pappalardo: “Ecco perché ho deciso di scrivere ‘Cara scuola ti scrivo'”

L'intervista a Marco Pappalardo, docente e nostra firma, in merito al suo ultimo libro "Cara scuola ti scrivo, l'attualità di lettera a una professoressa"

Sono passati più di cinquant’anni dalla pubblicazione di “Lettera a una professoressa“, il fortunato libro scritto dagli alunni di Don Milani nella Scuola di Barbiana. Nell’ultimo capitolo scrivono così: “Ora siamo qui a aspettare una risposta. Ci sarà bene in qualche istituto magistrale qualcuno che ci scriverà: ‘Cari ragazzi, non tutti i professori sono come quella signora. Non siate razzisti anche voi. Anche se non sono d’accordo su tutto quello che dite, so che la nostra scuola non va.  Solo una scuola perfetta può permettersi di rifiutare la gente nuova e le culture diverse. E la scuola perfetta non esiste. Non lo è né la nostra né la vostra. (…) Aspettiamo questa lettera.  Abbiamo fiducia che arriverà`. Il nostro indirizzo è: Scuola di Barbiana Vicchio Mugello (Firenze)”.

“Cara scuola ti scrivo… L’attualità di Lettera a una professoressa”

La risposta è arrivata nel nuovo libro di Marco Pappalardo, docente di Lettere presso l’I.S. Majorana-Arcoleo di Caltagirone e Direttore dell’Ufficio per la Pastorale Scolastica della diocesi di Catania, dal titolo “Cara Scuola ti scrivo… L’attualità di Lettera a una professoressa”, edito da San Paolo. “Ho cercato nelle biblioteche e sul web – afferma l’Autore – e, a parte importanti e significativi articoli e saggi, non vi è una lettera di risposta ufficiale e completa. Io ci ho provato ed in queste pagine, quasi fosse un testo a fronte, dopo ogni paragrafo si trovano le mie riflessioni in grassetto. Non sono “una professoressa”, ma spero da professore di essere stato comunque all’altezza di così tante ed intense provocazioni. Nel capitolo 28, l’ultimo paragrafo scritto a Barbiana è proprio un invito – con tanto di indirizzo – affinché qualche docente si faccia vivo; certo io arrivo un po’ tardi, sono di un’altra generazione, di un altro tipo di scuola, ma credo che gli studenti di Barbiana e le loro parole, con gli insegnamenti di Don Milani, abbiano moltissimo da dire oggi”.

L’intervista

Per approfondire l’argomento, Interris.it ha intervistato il professore Marco Pappalardo, una delle nostre firme, docente di Lettere presso l’I.S. Majorana-Arcoleo di Caltagirone e Direttore dell’Ufficio per la Pastorale Scolastica della diocesi di Catania.

Professore, perché ha deciso di scrivere questo libro?

“Questo libro nasce dall’esperienza di ascolto che da anni vivo a scuola con gli alunni, dalle loro mille e varie domande, dai tanti temi scritti e letti, dai dialoghi in aula, nei corridoi, sui social, dalla lettura condivisa di ‘Lettera a un professoressa’, scritta dagli studenti della Scuola di Barbiana creata da Don Lorenzo Milani. Una splendida classe Quinta A dell’I.S. Majorana-Arcoleo di Caltagirone, ormai ‘maturata’, mi chiedeva spesso ‘Prof., quando scriverà un libro su di noi?’ ed io rispondevo: ‘Non scriverò un libro su di voi…bensì con voi!’. Ed ecco perché ‘Cara Scuola ti scrivo…’. Non sempre ho le risposte, sicuramente non ho quelle pronte o per l’occasione, però cerco di ascoltare, di dedicare tutto il tempo necessario, di dare a ciascuno lo spazio richiesto. A volte le questioni vengono poste davanti a tutta la classe, altre volte privatamente, in ogni caso non restano in sospeso e, quando utile, ci dedichiamo ore intere. L’occasione in particolare è stata l’anniversario dei 100 anni dalla nascita di Don Milani, che sarà nel mese di maggio 2023”.

La scuola di oggi è cambiata rispetto a quella descritta nel libro di don Milani? 

“Sono passati più di cinquant’anni dalla pubblicazione di ‘Lettera a una professoressa’ ed oggi è ancora attuale il dibattito sulla scuola del merito e sulla scuola che non lasci indietro nessuno. Se certamente è diversa e migliore, è pure grazie alle provocazioni degli studenti di Barbiana e al modello proposto da Don Milani. Il vero cambiamento avviene tutte le volte che alle parole corrispondono le azioni quotidianamente! La risposta sta nell’uscire dagli schemi e dare qualità alla propria professione, consapevoli che ci sono tante situazioni che non sono “inferno” nella scuola, per essere segnale di vita e di speranza. Solo così, chiedendosi sinceramente allo specchio se la propria esperienza è di qualità, possiamo offrire il contributo necessario perché, attraverso la scuola, la società si rinnovi. Sì, perché la scuola – in una prospettiva altra – può diventare un segnale forte che fugga l’addomesticamento di chi, con i soldi e qualche concessione, chiede il silenzio; può proporre la dimensione dell’accoglienza e della gratuità quali luci per illuminare un tempo che ha perso il senso della realtà”.

Il motto della scuola di don Milani è “I care”, ma la scuola italiana di oggi riesci a prendersi cura di tutti i suoi studenti?

“La nostra professione è fondata sulla parola e sull’esempio, soprattutto sull’equilibrio, la costanza, la coerenza di entrambi gli elementi; ‘professiamo’, dunque ‘narriamo’ prospettive nuove a studenti di oggi che domani dovranno trasformare la società in ‘ciò che inferno non è’. L’azione dei docenti è ‘generatrice di futuro’ nel momento in cui, attraverso le discipline e la passione per lo studio, invita le nuove generazioni ad amare la vita in pienezza, ricambiando la cura ricevuta. Da educatori, non solo insegnanti dunque, ci viene chiesto qualcosa in più; non ore da aggiungere alla settimana, né vacanze estive da accorciare, bensì la capacità di raccordare, in mezzo alle fatiche quotidiane e alle fragilità, la parte migliore di noi stessi con la ricerca di un ‘di più’ che tiri fuori dall’‘inferno’ e dia spazio a ciò che non lo è: uno spazio per tutti, non solo per i migliori; uno spazio gli ultimi, non solo per i primi; uno spazio per chi è minoranza, non solo per chi è privilegiato; uno spazio che sappia di Paradiso”.

La scuola del passato era fondamentalmente classista e favoriva i “pierini”, ossia i figli dei dottori, quella di oggi è capace di includere e accogliere anche chi ha una cultura e tradizioni diverse dalle nostre?

“Includere e accogliere sono verbi esperienziali, cioè che si realizzano nei fatti non sulla carta! Da usare in modo diverso, invece, dovrebbe essere il termine ‘eccellenza’ quasi fosse un segno di distinzione dalla massa, di superiorità, di distacco. Sostituiamo, dunque, il classismo con un approccio comunitario alla classe, dove la diversità è ricchezza da valorizzare e condividere, e la cultura è il punto di incontro”.

Nel corso degli anni, come è cambiato il rapporto tra professore e studenti?

“Tra il docente e lo studente è come se si danzasse in coppia, a volte si è più vicini, altre volte lontani; ci si guarda negli occhi, si trovano le intese per il movimento giusto, si impara e ci si lascia guidare. A volte si cade, altre si viene trasportati in alto, tutto con la forza e la fatica di entrambi, il necessario rigore e la semplicità del lasciarsi andare, la disciplina e la creatività. A scuola non si balla da soli, non ci sono prime ballerine e, se ci sono delle étoile, devono brillare insieme! Inoltre, gli studenti devono fidarsi di chi gli vuole bene e di chi ne sa di più, non devono evitare la fatica, ma affrontare la difficoltà per dominarla. Ai docenti non chiedono di essere mamma, papà, nonno, fratello, cugino, ma almeno di essere ascoltati e considerati persone con i propri limiti e ricchezze, capacità e debolezze, sogni e progetti”.

Quali sono gli insegnamenti che dovremmo trarre dal libro di don Milani “Lettera a una professoressa”? 

“Agli studenti, ai docenti, ai dirigenti, al personale ATA, alle famiglie piace una scuola che contempli dentro la vita, l’amicizia, la passione educativa, la cultura, i contenuti, l’ascolto delle domande e chi le possa suscitare, il tempo dedicato reciprocamente, la ricerca nelle discipline di qualcosa di grande per la vita, le esigenze di cambiamento degli studenti, la creatività; tutte cose che costituiscono una ‘bella scuola’! Per essere ‘buona’ è necessario allora che la scuola sia anche ‘vera’ e ‘bella dentro’, che sia un luogo – come scrivono un gruppo di liceali in una lettera aperta – ‘capace di accendere i ragazzi, di sostenere il loro cammino, di mantenere un orizzonte aperto a tutte le dimensioni del reale’. Solo così nessuno resterà indietro, nessuno sarà lasciato indietro”.

Vuole fare una sua conclusione?

“Il testo ha il vantaggio per i lettori di contenere due libri in uno, cioè tutto il testo di ‘Lettera a una professoressa’ e le risposte attualizzanti; ogni questione posta allora dagli otto ragazzi e i compagni collaboratori è seguita da brevi riflessioni e gli esempi tratti dall’esperienza diretta. Può essere allo stesso tempo l’occasione per leggere (o rileggere) la lettera degli studenti di Don Milani e per una prospettiva attuale sulla scuola e sulla società. È particolarmente consigliato agli studenti della Secondaria di II grado, a quelli dell’ultimo anno della Secondaria di I grado, ai docenti, agli educatori, ai genitori”.

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