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Caffè Alzheimer: un tassello terapeutico nella rete sociale

La socializzazione, il dialogo e l’ascolto sono le terapie più funzionali, anche per i mali ritenuti, erroneamente, irrefrenabili

Il “Caffè Alzheimer”, nato in Olanda nel 1997, consiste in un luogo di ritrovo, rivolto in primis ai malati (soprattutto nella fase iniziale) e anche ai familiari, caregiver, educatori, medici e volontari, per ottenere benefici cognitivi e fisici. L’ARN, Associazione per la Ricerca Neurogenetica, al link https://www.arn.it/it/cosa-facciamo/attivita/alzheimer-cafe/, precisa “Il primo è stato realizzato in Olanda il 15 settembre 1997 dallo psicogeriatra olandese Bere Miesen […] In Italia a oggi ne sono censiti 100”.

La Federazione Italiana Alzheimer individua, al link https://www.alzheimer.it/alz_cafe.html, i Caffè presenti in ogni Regione. Da Nord a Sud, per citare alcuni esempi, ve ne sono 8 in Piemonte, ben 41 in Lombardia, 2 in Toscana, 1 in Sicilia. Come ricorda l’associazione “Alzheimer Uniti Roma”, al link https://www.alzheimeruniti.it/wp-content/uploads/2022/03/Articolo-AGE-Caffe-Alzheimer_Banchetti.pdf, “I servizi disponibili nel territorio a favore dei malati di Alzheimer, o di altro tipo di demenza, si distinguono in tre macrocategorie: – Servizi semiresidenziali: a esempio centri diurni e i ricoveri di sollievo, via intermedia tra la domiciliarità e l’istituzionalizzazione, ma con l’obiettivo preciso di evitare quest’ultima; – Servizi residenziali: case di riposo RSA che si caratterizzano come ricoveri permanenti; – Servizi a tipo ambulatoriale, come i CDCD (Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze): offrono un’eterogenea gamma di prestazioni per la diagnosi precoce, la terapia e indirizzano il percorso assistenziale (PDTA). Dunque i Caffè Alzheimer hanno la pretesa vocazionale di inserirsi all’interno di tale rete dei servizi, come spazi di incontro informali ma strutturati”.

Tali luoghi sono volutamente “protetti” e informali, favorendo la serenità, la pienezza delle conversazioni e delle attività sociali, laboratoriali, ludiche, musicali, artistiche, attraverso esercizi specifici di stimolazione cognitiva, emotiva e pratica. Gli argomenti sviluppati negli incontri, dunque, spaziano su vari fronti e i consigli prestati riguardano anche l’attività fisica e l’alimentazione più adatta.

L’ambiente è preservato anche perché sono note la discriminazione, l’emarginazione o la scarsa pazienza che i malati, spesso, ricevono dal prossimo. Occorre, quindi, la massima sensibilità, pur nella spontaneità delle attività. L’obiettivo è di intervenire direttamente con le persone affette dalla patologia e, indirettamente, alleggerire il carico psicofisico di familiari e badanti che assistono il malato.

Tali Caffè sono di varia natura: non solo bar o locali bensì aule, sale di associazioni, parrocchie e strutture sanitarie. La composizione dei partecipanti varia, in merito all’età, la professione, il ruolo; tale ampiezza di situazioni, ruotando accanto al paziente, rappresenta un ulteriore beneficio. Sono presenti, spesso, medici ed esperti in materia, che forniscono notizie importanti per conoscere meglio la malattia, per informare su nuove terapie e sperimentazioni, di eventuali attività specifiche presenti nel territorio o in altre località, nonché prestare suggerimenti terapeutici individualizzati.

Attraverso delle scale di valutazione, somministrate al paziente e ai familiari, nel momento del primo ingresso e a distanza di tempo, si possono verificare i progressi eventualmente acquisiti dal punto di vista cognitivo, emotivo e motorio. Gli incontri si fondano sulla personalizzazione della cura (aspetto ritenuto fondamentale dai medici), ponendo, al centro dell’attenzione, il malato.

Durante la visita alla casa-famiglia “Viva gli anziani” di Roma, il 12 novembre 2012, Benedetto XVI, affermò “Nella Bibbia, la longevità è considerata una benedizione di Dio; oggi questa benedizione si è diffusa e deve essere vista come un dono da apprezzare e valorizzare. Eppure spesso la società, dominata dalla logica dell’efficienza e del profitto, non lo accoglie come tale; anzi, spesso lo respinge, considerando gli anziani come non produttivi, inutili. Tante volte si sente la sofferenza di chi è emarginato, vive lontano dalla propria casa o è nella solitudine. Penso che si dovrebbe operare con maggiore impegno, iniziando dalle famiglie e dalle istituzioni pubbliche, per fare in modo che gli anziani possano rimanere nelle proprie case. La sapienza di vita di cui siamo portatori è una grande ricchezza. La qualità di una società, vorrei dire di una civiltà, si giudica anche da come gli anziani sono trattati e dal posto loro riservato nel vivere comune. […] Il Papa vi ama e conta su tutti voi! Sentitevi amati da Dio e sappiate portare in questa nostra società, spesso così individualista ed efficientista un raggio dell’amore di Dio. E Dio sarà sempre con voi e con quanti vi sostengono con il loro affetto e con il loro aiuto”.

Stefano Boffelli, Stefano Montalti, Marco Trabucchi, Stefano Govoni, Roberta Osti, sono gli autori del volume “I Caffè Alzheimer in Italia: Manuale operativo”, pubblicato da “Maggioli Editore” nell’aprile scorso. Parte dell’estratto recita “In questo manuale pratico-operativo troverete metodologie e attività da adottare per strutturare le attività dei Caffè Alzheimer, interventi non farmacologici per le persone affette da demenza, metodologie di coinvolgimento e informazione/formazione dei caregiver, formazione e crescita dei volontari, tutte risorse preziose da impiegare”.

Il 21 settembre scorso, in occasione della Giornata mondiale dell’Alzheimer, il ministero della Salute, al link https://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=6645, ha precisato i dati della malattia “In Italia, secondo stime dell’Osservatorio demenze dell’Istituto Superiore di Sanità, circa 1.200.000 persone soffrono di demenza (di cui il 50-60% sono malati di Alzheimer, circa 600.000 persone) e circa 900.000 con disturbo neurocognitivo minore (Mild Cognitive Impairment). Sono circa 4 milioni, inoltre, le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei pazienti. Per quanto riguarda i costi per la demenza, si stima che l’impatto economico sia tra i 23 miliardi di euro annui, tra costi diretti e indiretti”.

Dal primo Caffè del 1997, le opportunità e le caratteristiche offerte sono divenute sempre più nuove, situate, stimolanti e con maggiori benefici. Per sfruttare appieno le capacità, le occasioni e agire con competenza, sono previsti anche dei corsi, gratuiti (non molto lunghi), in cui è possibile essere “formati” (in particolare i caregiver) riguardo l’approccio e la gestione di uno spazio di incontro.

L’abbinamento terminologico risulta oltretutto funzionale per un altro aspetto: gli studi sinora effettuati, hanno dimostrato l’azione efficace del caffè, poiché la caffeina riduce la presenza di “proteine tau”, ritenute tra le responsabili dell’Alzheimer. Il numero dei ritrovi è in costante aumento e l’auspicio è che se ne creino molti, ben distribuiti sul territorio nazionale così da esser facilmente raggiungibili da tutti. Importante è la rete di persone, ognuna con il proprio ruolo, all’interno di ciascuno spazio. Al tempo stesso, si creano sinergie per collegare, sempre in rete, esperienze analoghe.

È auspicabile anche che lo stigma e l’ilarità che, a volte, accompagnano la demenza dell’Alzheimer e delle altre malattie simili, cessino del tutto: tale discriminazione isola ancor di più chi soffre e lo rende ancor più consapevole del proprio disagio. Le parole d’ordine, oltre a “socializzazione”, sono “dialogo” e “ascolto”: solo così il malato può uscire dalla sua gabbia e avviarsi, anche supportato dal confronto collettivo, a un atteggiamento aperto e non più ristretto. Le caratteristiche dell’Alzheimer e le dure prove a cui vengono sottoposti in particolare i familiari del paziente, sono note. Nell’ambito di tutte le cure prospettate, sono ben accette tali proposte e opportunità, peraltro supportate da dati incoraggianti. Il malato non è solo e tali non devono essere i familiari. Questo male si manifesta in maniera subdola e scava lentamente erodendo la persona. È opportuno “combatterlo” con tutti i metodi possibili e, se le relazioni sociali dei Caffè offrono una chiave di respiro, occorre puntarvi.

La rete sociale vince sempre, anche nei confronti del morbo più subdolo e nascosto. L’esempio dei Caffè, estesosi anche per altre patologie psicologiche, dovrebbe stimolare una maggiore adesione sociale, una solidarietà basata sulla sensibilità e sulla “compassione”, intesa nel vero senso del termine: partecipare alla “sofferenza altrui”. Il malato non è un altro bensì l’altro: un eventuale parente, genitore, amico da accogliere e recuperare, non da isolare o deridere.

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