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Green Economy? La vera sfida è in montagna

Lo sviluppo sostenibile è possibile anche negli ambienti montani. A patto che si proceda a una strategia organica di tutela e crescita coordinata. Anna Giorgi (Unimont): "Basta assistenzialismo, ora serve coraggio"

Conciliare impatto antropico e territorio è forse la sfida eterna per l’uomo. Un concetto valido per ogni ambiente, specie se in un contesto come quello italiano, che di varietà paesaggistiche ne offre parecchie. Per questo stupisce constatare che, in un frangente in cui la questione ambientale occupa un ruolo di rilievo nell’interesse della Comunità internazionale, non vi sia una strategia conforme e coordinata rispetto a tutti gli ambienti che, in qualche modo, contribuiscono a un’identità sia fisica che culturale del nostro Paese. Una divergenza che, piuttosto nettamente, si riscontra nelle iniziative di sostegno e tutela ai paesaggi per eccellenza. Mare e montagna, colonne portanti della natura fisica della Penisola e, di rimando, principali luoghi d’interazione uomo-paesaggio. Non necessariamente, però, con lo stesso equilibrio sulla bilancia della salvaguardia. E dello sviluppo.

Mari e monti

“Mentre per le aree marittime esistono delle politiche specifiche dedicate – ha spiegato a Interris.it la professoressa Anna Giorgi, docente dell’Università della Montagna e Coordinatore scientifico del CRC Ge.S.Di.Mont -, le montagne non sono riconosciute a livello di programmazione nazionale. Poi ci si arrabatta a livello regionale e locale, dove si racconta di essere interessati al tema della montagna, ma poi nei fatti si concretizza molto poco, se non nella solita modalità del considerarle aree marginali, difficili, alle quali dare sostegno economico senza far corrispondere una progettualità di lungo respiro e interdisciplinare. C’è un grosso problema, che rende le montagne orfane di attenzioni vere: non esiste una sezione specifica di politiche dedicate alle aree montane così come esiste per quelle marine, se non a spot, in maniera disorganica”. Un nodo sostanziale che, di fatto, non consente di inquadrare l’ambiente montano alla stregua di un potenziale luogo di corretta integrazione fra uomo e paesaggio, con una conseguente rotta di sviluppo integrato in grado di produrre una corretta pianificazione strategica nel rispetto e nell’interesse della montagna.

Ricerca e sostenibilità

“Questo è un grandissimo problema – ha spiegato ancora la professoressa Giorgi -, che va affrontato se vogliamo che le montagne vengano tutelate e protette, e che diventino veri generatori di opportunità. Con l’esperienza del Polo Unimont, in mezzo alle Alpi, costruito dal nulla in vent’anni, oggi contiamo 200 studenti nel percorso triennale, facciamo attività di ricerca e sperimentazione di terza missione con risultati lusinghieri ed efficacia sul territorio. Possiamo dire di aver formato e sostenuto una serie di imprese che promuovono la produzione di valore in maniera sostenibile, basandosi sull’utilizzo di risorse in maniera strategica, senza creare danni all’ambiente ma integrandosi alla perfezione, consentendo alle persone di poter vivere in questi ambienti“.

L’addio agli Appennini

Per fare qualcosa di concreto, è il messaggio, “ci vuole un intervento che sia di sistema”. Il quale, a sua volta, dev’essere declinato tenendo ben presente le differenze sostanziali tra i due ambienti montani della nostra Penisola: “Da un punto di vista della tutela e della riduzione dell’impatto, ci sono due contesti differenti: sull’Appennino il grande problema è l’abbandono. Le attività impattanti ci sono ma sono poche e ben focalizzate. Ma la gente se ne sta andando dai borghi della dorsale appenninica, senonché questo viene compensato da investitori stranieri che comprano per nulla degli interi borghi e ne fanno luogo delle vacanze familiari o un vero e proprio business, attraverso quella ruralità che abbiamo considerato priva di valore. Contesti che ostentano questa ruralità senza far mancare le comodità, luoghi evocativi valorizzati secondo questi aspetti. L’abbandono comporta che, da un punto di vista naturalistico, l’ambiente si riprende i suoi spazi. E questo può creare dei problemi, ad esempio nei sempre più intensi periodi delle piogge, tra frane, smottamenti… Conseguenti alla mancata gestione dei contesti ambientali. Può essere una scelta legittima ma, a quel punto, bisogna poi prendersi carico degli eventi, anche estremi, che possono verificarsi”.

L’arco alpino

Diverso, anche se continuativo, il discorso per l’arco alpino, dove a incidere sono altri fattori: “Sulle Alpi, dove lo spopolamento è un po’ a macchia di leopardo, il grande problema è in termini di impatti sull’ambiente montano. La necessità di muoversi, individuando delle modalità di fare impresa, vivere e connettersi che riducano l’impatto, consentendo però di vivere e integrarsi nel contesto montano, è la sfida più grande. I problemi che si trovano sono di tutti i tipi: come i siti inquinati, luoghi dove mal gestioni imprenditoriali del passato hanno devastato determinati contesti, e dove oggi si pone il problema della bonifica. Troviamo poi gli impatti generati da modelli di sviluppo turistico poco coerenti con le caratteristiche ambientali, come i villaggi che andavano di moda negli anni Settanta e che oggi non vengono più fruiti, risultando altri rispetto alla natura di quei luoghi”.

Montagna: la sfida più grande

Resta però uno spiraglio che fa ben sperare. La montagna, anche grazie al progetto di Unimont, nato e cresciuto alle radici dei versanti alpini, richiede oggi la sterzata necessaria a far sì che il discorso di sviluppo sostenibile non diventi connesso esclusivamente a contesti quali il turismo invernale. Il segreto, semplice quanto decisivo, è l’inquadramento delle montagne all’interno di un piano di sviluppo integrato che sappia davvero coglierne le potenzialità. Senza sfruttamento, ma convogliando risorse e impatto umano sui binari della sostenibilità: “Negli ultimi vent’anni ho visto un crescendo di attenzione nei confronti di queste tematiche, prima molto marginali. Oggi se ne discute su tavoli impensabili ma, quello che serve ora, è il coraggio: è tempo di cambiare paradigma quando si parla di montagna, non considerarla più un pezzo di territorio svantaggiato ma come un contesto che ha risorse, peculiarità di valore e che possono generarlo. Oggi si parla di green economy: i contesti montani sono una grande sfida da questo punto di vista. Bisogna inquadrarli con una visione che non può più essere quella dell’assistenzialismo. Questi territori possono diventare luoghi di creazione di valore, offrire opportunità professionali, creative e molto stimolanti per quei giovani che, sempre di più, sono disponibili a fare questa scelta. Anzi, cercano disperatamente di trasformarsi in imprenditori delle montagne. Dobbiamo aiutarli, questo mi è sempre più chiaro, a fare impresa”. La sfida di sempre inquadrata nell’oggi. E la possibilità di vincerla c’è.

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