Il cristianesimo non è una religione intessuta di formalità e di gesti eclatanti, bensì è un incontro con Gesù attraverso le sorelle e i fratelli più deboli e indifesi. “Un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2,12). Ecco lo spirito natalizio: in silenzio ci inginocchiamo e adoriamo il Salvatore. Il Natale non è solo una ricorrenza temporale o il ricordo di qualcosa di bello. Oggi festeggiamo l’incontro con Colui che nasce in una mangiatoia mentre il mondo, allora come oggi, si dimentica dei fragili e non ha posto per loro. In duemila anni di storia cristiana i pastori sono chiamati a stare nella storia e aiutare le persone a santificare la quotidianità.
Sono trascorsi due terzi di un secolo dal radiomessaggio di Natale di Giovanni XXIII al mondo. Papa Roncalli richiamò alla misericordia proclamando che l’umana libertà dell’uomo deve corrispondere alla chiamata di Dio e se ciò non avviene costituisce un pericolo per i singoli e per i popoli. Parole che risuonano attuali e profetiche mentre i boati delle guerre e del terrorismo atterriscono le nostre giornate: “La mancata corrispondenza della umana libertà alla chiamata di Dio a servizio dei suoi disegni di misericordia costituisce il più terribile problema della storia umana e della vita dei singoli uomini e dei popoli”. La parola “misericordia” riecheggia 117 volte in quello storico intervento, tra vibranti appelli alla glorificazione di Maria e richiami alla missione di salvezza. Il senso del Natale sta proprio nel servizio alla verità e alla carità. Senza il kerygma, senza l’annuncio del Vangelo non è possibile che la fede si diffonda. E la principale evangelizzazione è la testimonianza individuale e comunitaria. La miseria è indegnità, la povertà, invece, è uno stile di vita. “La verità è come l’acqua e la strada la trova”, recita un antico proverbio orientale. Ogni persona è un dono di Dio e ha qualcosa da offrire all’altro.
Oggi la nostra povertà rischia di degradare in miseria perché si accompagna a uno smarrimento delle coscienze. Tra le espressioni del vuoto dilagante ci sono le ricorrenti opinioni o ipotesi nel dibattito pubblico che propongono vergognosamente il ripristino della prostituzione considerata come una “normale” attività di lavoro. Si sa che “il lavoro nobilita l’uomo” ma ciò può succedere soltanto se esso è espressione di libertà e non quando viene calpestata la dignità della persona. Non si può fare commercio del corpo umano, come accade nella tratta di esseri umani tratte per il mercimonio coatto. Nessuna forma di schiavitù può essere regolamentata né disciplinata e la prostituzione è sempre una condotta che abbrutisce sia chi si vende sia chi “compra” perché non è possibile mercificare il corpo senza contaminare anche la propria anima. La Carta dei diritti fondamentali dell’Ue all’articolo 1 sancisce che la dignità della persona è inviolabile e va tutelata. Il Natale ne è origine e garanzia in ogni epoca.
“A Betlemme si è creata un’apertura per quelli che hanno perso la terra, la patria, i sogni – testimonia papa Francesco -. Tutto si ribalta: Dio viene al mondo piccolo. Colui che abbraccia l’universo ha bisogno di essere tenuto in braccio. Lui, che ha fatto il sole, deve essere scaldato. La tenerezza in persona ha bisogno di essere coccolata. L’amore infinito ha un cuore minuscolo che emette lievi battiti. La Parola eterna è infante, cioè incapace di parlare. Il Pane della vita deve essere nutrito. Il creatore del mondo è senza dimora“. Due millenni dopo la Natività si ripete sotto le bombe delle sessanta guerre attualmente in corso, lungo le rotte insanguinate della tratta (definita da Francesco “delitto contro l’umanità”), nelle quotidiane ingiustizie che avvengono nelle nostre strade e nei soprusi che si perpetuano nell’indifferenza generale.
Ieri l’apertura della Porta Santa ci ha confermati “pellegrini di speranza” e il Principe della pace non dimentica nessuno. “Converti ovunque il cuore dei violenti perché depongano le armi e si intraprenda la via del dialogo- invoca il Pontefice rivolgendosi a Gesù che nasce-. Sana le piaghe degli innocenti e degli indifesi. Proteggi i perseguitati a causa del tuo nome. Soccorri i profughi, i rifugiati, i bambini rapiti, feriti e uccisi nei conflitti armati, trasformati in soldati, derubati della loro infanzia”. All’avidità che sfrutta in modo indiscriminato il pianeta si contrappone l’esempio del presepe. A Betlemme stanno insieme poveri e ricchi, chi adora come i magi e chi lavora come i pastori. Tutto si ricompone quando al centro c’è il Signore. Le festività natalizie sono anche l’occasione per un bilancio individuale e comunitario dell’anno che sta per concludersi.
Il Natale ci chiama a dare gloria a Dio riconoscendo nei più bisognosi Gesù che giace in una grotta e reca la salvezza a ciascuno di noi, a ogni uomo e a tutti i popoli della terra. Il magistero di Francesco insegna che Dio non cavalca la grandezza, ma si cala nella piccolezza che è la via scelta per toccarci il cuore e riportarci a quanto conta davvero. “Dove nasce Dio, sgorgano la speranza e la pace: non c’è più posto per l’odio e per la guerra – prega il Papa-. Il pianto di Betlemme ci svegli dalla nostra indifferenza e apra i nostri occhi davanti a chi soffre. Dio si è fatto bambino e poi si è lasciato inchiodare sulla croce. Nella debolezza e nel perdono si manifesta l’onnipotenza di Dio”. Il più sentito e fraterno augurio, dunque, è che la conversione e la pace siano i doni del Natale rischiarato dalla luce del Bambino.